IL FRONTE DEL DISSENSO E LA QUESTIONE AMBIENTALE

Risoluzione approvata dalla II. Assemblea nazionale del FRONTE del DISSENSO svoltasi a Chianciano terme il 29-30 marzo 2025

Inquinamento dell’aria, dell’acqua, del suolo, dell’etere: sono questi gli aspetti principali della catastrofe ambientale consegnataci dal capitalismo, specie nell’ultimo secolo, ed in particolare nella sua attuale fase neoliberista.

Non potendo più negarne l’evidenza, il sistema iniziò ad impossessarsi della questione ambientale agli inizi degli anni ’70. Lo fece sia per disattivare la potenziale carica rivoluzionaria di un ambientalismo capace di intrecciarsi con la lotta sociale, sia per iniziare un processo di colpevolizzazione indiscriminata dell’essere umano in quanto tale. Operazione, quest’ultima, di cui solo oggi vediamo le conseguenze estreme.

Questo tentativo egemonico ha sì ottenuto diversi successi (vedi ad esempio la totale integrazione nel sistema dei sedicenti “partiti verdi” in occidente), ma non ha potuto certo nascondere la contraddizione fondamentale tra il capitalismo e la difesa della natura e dell’ambiente. Il cuore di questa insanabile contraddizione sta nel fatto che, mentre quello capitalistico è un sistema che non si reggerebbe in piedi senza una crescita all’infinito, le risorse del pianeta sono per definizione finite. E questa opposizione tra finito ed infinito potrà trovare una soluzione solo in un nuovo modello sociale.

Il capolavoro dell’operazione dei dominanti, quello che vorrebbe scaricare le colpe del disastro ambientale sull’uomo anziché sul sistema, è emerso con la narrazione climatica degli ultimi anni. Lo stratagemma di questa narrazione catastrofista consiste nel ridurre la questione ambientale a quella climatica, così come nel 2020 si ridusse la questione sanitaria al Covid.

Denunciare questo trucco è perciò la prima mossa da fare. Il disastro ambientale c’è eccome, mentre l’allarmismo sul clima, oltre a voler dirigere l’attenzione altrove, ha precisi obiettivi sistemici. Si tratta di obiettivi politici, con lo spostamento progressivo dei poteri in ambiti sovranazionali ma sempre ben controllati dall’Occidente; di obiettivi economici, legati al business di una falsa “transizione ecologica” concepita come forzante esterna di un’economia viceversa stagnante; ed infine di obiettivi sociali, perché la suddetta “transizione”, così come concepita, imporrà di necessità nuove e più estese forme di controllo sociale.

La narrazione climatica è falsa, ed il catastrofismo che ne consegue è immotivato, per diversi motivi. In primo luogo, non c’è nessun aumento – sia in termini quantitativi che qualitativi – dei cosiddetti “eventi estremi”. E molto spesso il richiamo ai “cambiamenti climatici” è solo un modo per nascondere i disastri dovuti alla cementificazione, all’incuria ed all’assenza di manutenzione del territorio. In secondo luogo, dal 1800 in avanti (cioè, da quanto si fanno misurazioni adeguate) il regime delle precipitazioni mostra una straordinaria stabilità. Dunque, non c’è nessuna tendenza “climatica” alla siccità ed alla desertificazione, fenomeni che ove si verificano hanno evidentemente cause ben diverse da quelle che si vorrebbe far credere.

In terzo luogo, l’annunciato aumento del livello del mare non trova riscontri concreti. Mentre è certo che in epoca romana quel livello era più alto di oggi, le attuali variazioni sono incerte e comunque millimetriche. In quarto luogo, lo stesso scioglimento dei ghiacci è assai più modesto di quel che si pensa. Secondo i dati ufficiali, il ghiaccio scioltosi negli ultimi vent’anni in Antartide è pari solo ad un diecimillesimo (0,01%) della sua massa complessiva, mentre negli ultimi due anni questa massa sta addirittura crescendo.

In quinto luogo, è vero che la temperatura media del pianeta risulta in aumento e che i dati ufficiali lo quantificano in una differenza di circa un grado centigrado dal 1880 ad oggi, ma è altrettanto vero che il livello attuale è ancora inferiore ad altri periodi storici di cui abbiamo notizie abbastanza attendibili. Tra questi periodi vanno ricordati quello chiamato “Roman Warming” tra il 250 ed il 400 a.C., e quello denominato “Optimum Climatico Medievale” dall’anno mille al 1300. Ma nell’Olocene, la nostra epoca geologica, vi sono stati altri due periodi ancora più caldi di oggi, circa 7000 anni fa il primo, 4500 anni fa il secondo.

L’aumento attuale delle temperature è dunque perfettamente compatibile con le altre oscillazioni interne alla fase interglaciale che stiamo vivendo. Ma se volessimo andare più indietro, i paleoclimatologi ci direbbero che la temperatura di oggi è ancora un grado e mezzo al di sotto del massimo registrato nella precedente fase interglaciale a CO2 stabile.

Giusti, dunque, gli studi sul clima, giusto valutare ogni aspetto, ma nella consapevolezza che sulle temperature incidono numerosi fattori – tra questi, in primo luogo, la mutevole attività del Sole – che noi non solo non possiamo controllare, ma che al momento non riusciamo neppure a valutare. Posto che l’origine non naturale dell’attuale riscaldamento è tutta da dimostrare, ancora meno credibile è l’attribuzione di ogni responsabilità all’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera.

L’ossessione sulla CO2 ha uno scopo ben preciso: promuovere la falsa “transizione ecologica” (in realtà una transizione energetica) in tempi rapidissimi, secondo la tesi che “non abbiamo più tempo”. Questa fretta serve ad azzerare ogni discussione sia in ambito scientifico che politico. Ma serve anche ad accentrare le decisioni, a massimizzare gli effetti economici, a far accettare immani sacrifici sociali alle popolazioni.

Tutto ciò è inaccettabile e va respinto con fermezza. Questo non significa che una rivoluzione ecologica non sia necessaria, ma questa andrà costruita su basi, tempi e modi completamente diversi. Stesso discorso sulla transizione energetica. Ridurre l’uso dei combustibili fossili è infatti utile e necessario, ma per motivi che nulla hanno a che vedere con l’anidride carbonica. Infatti, mentre quest’ultima non è affatto pericolosa per la salute umana, ed è addirittura benefica per i vegetali, altri sono gli inquinanti da ridurre al massimo, tra questi il particolato, l’ossido di azoto, quello di zolfo, eccetera.

La questione ambientale contiene un insieme di problematiche estremamente complesse. E’ l’intero modello di sviluppo che va rimesso in discussione, dal tipo di industrialismo che si è affermato negli ultimi due secoli, alla logica della globalizzazione con il suo dogma della competitività, alla cultura consumista diffusasi a partire dall’Occidente. Oltre a grandi cambiamenti politici, l’uscita da questo modello passa da un deciso riequilibrio tra città e campagna e – soprattutto – da un’ancor più decisa redistribuzione della ricchezza su scala globale.

Ogni problema ambientale va dunque affrontato con competenza, ma sempre con l’obiettivo della ricerca di un nuovo equilibrio fra uomo e natura, per tutelare al meglio le condizioni che consentono la vita in generale e l’esistenza umana in particolare. E’ questa la stella polare che deve orientare ogni lotta specifica, ricordando sempre che una vera pacificazione tra uomo e natura potrà essere raggiunta solo con il superamento del capitalismo, la cui innata voracità (che lo obbliga non solo alla ricerca del massimo profitto, ma pure alla crescita infinita) è del tutto incompatibile con questo obiettivo.

E’ con questa visione generale che il Fronte del Dissenso orienta la sua azione in alcuni decisivi campi della lotta ambientale:

  1. Difesa del suolo – Il suolo è quella parte dell’ambiente che garantisce il cibo, dunque la sopravvivenza della specie umana e di buona parte dei viventi. Esso va dunque tutelato al massimo in almeno due aspetti fondamentali: a) la protezione da ogni forma di inquinamento, b) un assetto idrogeologico che garantisca al meglio sia la sicurezza che il paesaggio. Il primo obiettivo va perseguito con la riduzione degli inquinanti in generale, di quelli legati all’attività agricola in particolare. Il secondo richiede uno stop all’aumento della quota di suolo oggi impermiabilizzata, obiettivo da conseguire anche con il recupero di aree oggi cementificate e imponendo obblighi definiti ad ogni Comune italiano. A questo stop al consumo del suolo, dovranno poi accompagnarsi sia progetti ben finanziati di ripristino dei terreni boschivi, sia un piano di manutenzione continua del territorio oggi inesistente.
  2. Rinascita delle aree interne – Lo sviluppo diseguale, insito nei meccanismi del mercato, ha portato ad un crescente degrado delle aree interne del Paese. Tra queste, particolarmente colpite quelle a cavallo dell’Appennino. Tante le conseguenze negative: dallo spopolamento, all’abbandono dell’agricoltura; dalla riduzione dei servizi (sanità e scuola in primis), ad un costo della vita più alto che altrove. Questi processi di lungo periodo hanno avuto una pesante ricaduta ambientale, di cui ci accorgiamo spesso in occasione degli eventi alluvionali. Tutelare questi territori è perciò decisivo anche sotto questo aspetto. Per la loro natura, queste aree si prestano più di altre ad un progetto ecologico-sociale innovativo, che punti ad una rinascita basata sullo stop al declino demografico e ad un diverso rapporto uomo-natura. Questo progetto, che dovrà portare ad una decisa difesa del suolo e ad una vera cura dei beni boschivi, richiede un forte intervento economico da parte dello Stato, con l’aumento dei trasferimenti di risorse ai comuni montani, il finanziamento a progetti specifici, l’applicazione di parametri differenziati sui servizi, un forte sostegno all’agricoltura collinare e montana.
  3. Una nuova agricoltura – Le recenti lotte dei contadini, che il Fronte del Dissenso ha appoggiato con convinzione, segnalano la gravità della crisi generale del settore agricolo. Una crisi che è anche ecologica e non solo economica Appoggiare le ragioni dei contadini non significa condividere tutte le variegate rivendicazioni emerse in quel movimento. Ponendo fine allo strapotere dei grandi gruppi della distribuzione, ai contadini vanno assicurati prezzi equi, un reddito adeguato e migliori condizioni di vita e di lavoro, ma l’agricoltura attuale basata sulla chimica e sullo sfruttamento intensivo del suolo – va cambiata da cima a fondo. Superare il dominio della chimica, dire no agli Ogm, rigenerare la fertilità dei terreni, ripristinare i cicli stagionali, superare gli allevamenti intensivi, sviluppare al massimo l’agricoltura biologica, perseguire la sovranità alimentare sia a livello nazionale che territoriale, significa lavorare ad una vera e propria rivoluzione agricola che richiederà tempo, ma per la quale è necessario battersi da subito. Questa rivoluzione, che è l’unica via per conquistare il diritto ad un’alimentazione sana, avrà dei costi, ed essi andranno sostenuti dallo Stato. Al rispetto di regole ecologiche ispirate al bene comune dovrà dunque corrispondere il supporto economico pubblico a chi la terra la lavora.
  4. Ecologia urbana – Le grandi metropoli italiane sono molto inquinate in termini di qualità dell’aria, di rumore e suoni, per la continua cementificazione delle poche aree verdi, dei siti industriali dismessi, delle periferie ancora non urbanizzate. Va posto come obiettivo nazionale lo stop alla cementificazione e il recupero edilizio ad uso abitativo degli edifici dismessi o giudicati inabitabili in quanto bisognosi di manutenzione. Il trasporto pubblico va ripensato alla luce degli effettivi attrattori di traffico che sono fortemente mutati negli ultimi anni, caratterizzati dal completo abbandono della programmazione urbanistica a tutto vantaggio delle grandi infrastrutture private e speculative. Grandi investimenti vanno realizzati per favorire l’accesso in città di treni e autobus dalla grande periferia. Parcheggi per i residenti e parcheggi scambiatori vanno programmati e studiati per favorire una mobilità intelligente. E’ su questi bisogni che andranno rimodulati gli investimenti pubblici oggi intrappolati nella follia del Pnrr.
  5. Acqua pubblica – Pur con le note differenze territoriali, in Italia l’acqua non è un bene raro. Essa è piuttosto un bene mal gestito. Dai rubinetti delle case esce spesso acqua troppo cara e di cattiva qualità. La causa è nel processo di privatizzazione, che oggi prende la strada delle multiutility da quotare in Borsa, nonché nell’assenza di investimenti sulla rete idrica (oggi il 36% dell’acqua potabile – 41mila litri a Km ogni giorno – va persa per la vetustà delle tubazioni…). Opponendoci ad ogni speculazione, noi affermiamo che non solo gli acquedotti, ma tutto il ciclo dell’acqua, dovrà ritornare sotto il controllo e la proprietà pubblica, con enti gestori di diritto pubblico che non abbiano scopo di lucro.
  6. Stop all’inquinamento elettromagnetico ed al 5G –L’inquinamento elettromagnetico è sicuramente quello meno visibile, ma non per questo il meno pericoloso per la salute umana.La sua “visibilità” viene però occultata anche per i giganteschi interessi delle grandi compagnie dell’energia e – soprattutto – delle telecomunicazioni. Queste compagnie hanno ottenuto un grande successo nello scorso autunno, quando il parlamento italiano ha incrementato i limiti di emissione elettromagnetica, portandoli da 6 a 15 V/m. Benché questa soglia resti ben al di sotto dei 61 V/m chiesti dall’UE, si tratta di una misura decisiva per la realizzazione della rete 5G. Diciamo dunque di no all’innalzamento dei limiti di emissione per ragioni sanitarie, ma diciamo un no altrettanto forte al 5G, visto che sarà questo lo strumento per realizzare tutte le trasformazioni anti-umane del Cybercapitalismo: dalla Smart City, al riconoscimento facciale; dalla Scuola 4.0 ai sistemi di sorveglianza individuale e di massa.
  7. Stop all’inquinamento dei cieli – L’utilizzo della pratica dell’inseminazione delle nuvole, apertamente ammesso in numerosi paesi al fine di stimolare le precipitazioni in aree particolarmente siccitose (vedi il caso clamoroso degli Emirati Arabi), pone di fatto un nuovo problema di inquinamento atmosferico. Le sostanze iniettate nelle nuvole (sali e ioduro d’argento) sono infatti inquinanti. Mentre chiediamo chiarezza e trasparenza sull’intera questione, questa attività, già sperimentata negli anni ’40, ed in Italia sviluppata a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, sempre peraltro con modesti e contraddittori risultati, deve cessare immediatamente. Non solo, poiché è provata l’esistenza di altre attività, compresa la sperimentazione militare, è necessario uno stop ad ogni manipolazione dell’atmosfera, con qualunque mezzo venga effettuata (chimico, elettromagnetico o altro).
  8. Una trasformazione energetica veramente ecologica – Premesso che la svolta ecologica di cui c’è bisogno non potrà certo esaurirsi nel settore energetico, è chiaro come quest’ultimo necessiti di una profonda trasformazione. Una trasformazione, però, guidata da una visione d’assieme dei problemi ambientali e sociali, non dall’assurdo “tutto e subito” dei criminali di Davos, la cui fretta è strettamente legata agli interessi materiali dei loro committenti, oltre che agli obiettivi politici della cupola oligarchica dominante. Posto che respingiamo con decisione l’attuale narrazione climatica, considerato che non esistono energie “pulite” al 100%, consapevoli che i combustibili fossili continueranno ad avere un ruolo centrale (seppur declinante) ancora a lungo, queste in sintesi le nostre proposte:
  • a) Passaggio progressivo e ragionato, dunque non interessatamente accelerato, alle energie rinnovabili. Potenzialmente queste fonti possono arrivare a soddisfare il grosso dei bisogni energetici, ma ogni impianto andrà sempre sottoposto ad una rigorosa valutazione dell’impatto ambientale e sociale, mentre le decisioni finali dovranno essere prese con il pieno coinvolgimento democratico delle popolazioni. Se l’impatto sulla salute dovrà essere un fondamentale elemento di valutazione, la stessa cosa dicasi per quello sul paesaggio e sull’economia dei territori interessati. Per questo diciamo no, ad esempio, sia al fotovoltaico sui terreni agricoli che all’eolico in zone ad alto valore paesaggistico.
    • b) Chiusura progressiva delle centrali termoelettriche, a partire da quelle alimentate a carbone. No alla reintroduzione del nucleare, una fonte primaria portatrice di mille problemi (non solo ambientali), non a caso da anni in declino a livello mondiale.
    • c) Fermare il passaggio all’auto elettrica fino al completamento di quello alle rinnovabili nel comparto elettrico. Dal punto di vista ambientale l’attuale accelerazione è infatti un assurdo, visto che serve solo a spostare (peraltro aumentandolo) l’inquinamento dai tubi di scappamento delle auto alle ciminiere delle centrali. Il passaggio all’elettrico nei trasporti, che per ragioni tecniche dovrà quantomeno escludere i camion per non parlare del traffico aereo, dovrà comunque avvenire solo a condizione che i costi per la popolazione non siano superiori a quelli dell’auto a trazione tradizionale. Volendo scongiurare ogni discriminazione basata sul censo relativamente alla libertà di movimento e volendo altresì scongiurare ogni ulteriore inutile spreco di risorse, sarà in ogni caso e senza condizioni garantita la possibilità ai relativi proprietari di utilizzare i propri mezzi di trasporto fino al termine di vita degli stessi.
    • d) Cancellare la normativa europea sulle abitazioni “green”, tesa a colpire la piccola proprietà a favore di quella grande e della speculazione immobiliare. L’efficientamento energetico delle abitazioni dovrà invece avvenire con piani pluriennali, anche qui senza quella fretta interessata che abbiamo visto con il superbonus del 110%, nell’interesse dei piccoli proprietari e delle famiglie a basso reddito, per le quali lo Stato dovrà coprire le spese al 100%. Questa impostazione – che mira all’obiettivo ambientale, sposandolo però con quello sociale – va incontro anche alle esigenze delle piccole aziende del settore, che solo in questo modo potranno programmare le loro attività, con un’adeguata formazione del personale, ed una relativa crescita degli occupati stabili, senza dover ricorrere a forza-lavoro temporanea e super-sfruttata.   
    • e) La realizzazione dei punti a) e b), relativi alla produzione elettrica, dovrà avvenire attraverso il pieno controllo pubblico. Ribadiamo dunque l’obiettivo della nazionalizzazione integrale di questo settore, da attuare nei tre comparti della produzione, del trasporto, della distribuzione dell’energia.

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