LA NUOVA FASE ED I COMPITI DELLA RESISTENZA di Ali Fayyad*

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«Cari amici,

Sono molto lieto di essere tra voi, è un’opportunità preziosa, vengo dal Libano un Paese pieno di complicazioni. Ascoltando stamattina le parole degli amici, ho provato un immenso orgoglio per le posizioni umanitarie e politicamente mature. Ci si sente particolarmente ottimisti quando si ascoltano queste posizioni e proposte, soprattutto dalla nostra regione.

Ho riflettuto a lungo su cosa dire in questo incontro, e c’è molto da dire. La regione è attualmente gravata da numerose sfide e minacce. Ciò che sta accadendo in Libano e in tutta la regione non è solo una questione geostrategica, politica o militare. È principalmente una questione morale, legata alle nostre domande umane fondamentali ed essenziali: che tipo di mondo vogliamo e qual è il rapporto tra la politica, con i suoi valori etici, e l’intero sistema dei diritti umani, della democrazia e del rispetto dei diritti o del diritto all’autodeterminazione, sono ora in gioco. Qual è il collegamento tra tutto questo e la pace e la sicurezza internazionale? Pertanto, ciò che sta accadendo ora in Medio Oriente è al centro dell’attenzione. I disordini in Medio Oriente avranno sicuramente ripercussioni sull’intero sistema globale. Vorrei anche sottolineare che gli amici che hanno scelto questo argomento sul sionismo hanno fatto un’ottima scelta. Io appartengo a un partito islamico, un partito della resistenza.

Tuttavia, nonostante ciò, voglio dire in questo incontro che non siamo contro gli ebrei. Sono liberi di credere ciò che vogliono, almeno per quanto riguarda le loro convinzioni.

Il nostro problema non è con loro come gruppo religioso né con l’Antico Testamento; il nostro problema è con il sionismo e con l’entità razzista israeliana che è stata fondata sulle rovine di un altro popolo e che ha continuato, nonostante tutti questi lunghi anni, a perseguire una logica di genocidio, omicidio, distruzione e sfollamento del popolo palestinese. Anche noi, come libanesi, non siamo stati risparmiati da questa entità israeliana, che ha commesso crimini contro di noi nel corso di una lunga storia. A partire dal 1948 sono stati commessi numerosi massacri, gran parte del Paese è stata occupata e, nel 1982 le truppe sioniste raggiunsero Beirut.

Tuttavia, per motivi di tempo, voglio andare dritto al punto. Lo farò in un modo che porti a una conclusione pratica relativa ai doveri ed ai compiti essenziali che ci spettano. Ciò che è accaduto nella regione, in Libano e in Medio Oriente, rappresenta una vera e propria svolta storica. Siamo al di là di un semplice cambiamento politico: siamo davanti ad una vera e propria svolta storica. Gli israeliani, ora sotto copertura americana, stanno spingendo la regione in una situazione di grande pericolo.

Israele ormai non conosce limiti, non aderisce ad alcun vincolo e ignora ogni regola di condotta. Il comportamento israeliano in questa fase è un mix di criminalità e irrazionalità. Pertanto, Israele non si accontenta più delle sue azioni precedenti, ma sta intensificando le sue pratiche irragionevoli a tutti i livelli. In Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, non c’è più alcuna speranza per il popolo palestinese: né per uno Stato, né per i diritti, né per il diritto al ritorno. Anche riguardo al mio Paese, il Libano, vediamo che i sionisti sono insaziabili, stracciano anche ciò che dicevano fino a ieri, ad esempio riguardo al problema delle armi di Hezbollah. Si arrogano il diritto di schiacciare qualsiasi minaccia considerino anche solo potenziale e futura.

Si tratta di una questione strategica ed estremamente pericolosa, che non può essere limitata al rispetto di una regola. Di conseguenza, viviamo in uno stato di costante ansia. Gli strumenti di conflitto utilizzati dagli israeliani includono l’uccisione indiscriminata anche di civili. Nell’ultimo mese, gli obiettivi degli omicidi avvenuti in Libano erano civili, non personale militare, inclusi bambini, donne e così via. Pertanto, prendere di mira i civili indica la volontà deliberata di continuare l’occupazione delle terre libanesi, lo spopolamento di intere aree, l’impedimento del ritorno dei residenti dei villaggi di confine alle loro case, senza dimenticare il ricatto finanziario ed economico il Libano subisce. Si tratta di un vero e proprio assedio americano-trumpiano della regione del Libano meridionale a cui appartengo —il mio villaggio è un villaggio di confine. Gli americani hanno parlato di stabilire un’area nel Libano meridionale, al confine con la Palestina occupata, una cosiddetta “Zona T”. Quando ho chiesto cosa significasse “Zona T”, mi hanno risposto: “Vuol dire Zona Trump”. Vogliono istituire una “Zona T-Trump” nel mio villaggio e in tutti questi villaggi di confine.

Ciò ha portato a un grave squilibrio nell’attuale struttura di potere regionale, ma il problema più pericoloso che si è verificato nella regione è questa trasformazione avvenuta in Siria, che ha aggravato gli squilibri di potere tra le resistenze e il blocco israelo-americano.

Nonostante tutto ciò, vi esorto a considerare quanto segue: c’è uno squilibrio di potere, ma gli israeliani non sono stati in grado di raggiungere i loro obiettivi finali, e questo è un punto molto importante. Non sono stati in grado di rovesciare il regime in Iran, nonostante quello fosse l’obiettivo primario della guerra. Al contrario, il popolo iraniano è diventato più unito. Non sono stati in grado di eliminare Hamas a Gaza e la Resistenza. Non sono riusciti a liberare i prigionieri attraverso un’azione militare, ma alla fine sono stati costretti a negoziare. Non sono riusciti ad eliminare Hezbollah, che rimane in Libano il partito più grande e forte in termini di sostegno popolare. La resistenza possiede ancora la capacità di difendersi. Non sono riusciti ad avanzare di un solo passo in territorio libanese durante l’invasione militare, che ha però causato l’80% delle distruzioni.

Segnalo che i gravi danni inflitti al Libano meridionale sono stati causati dagli israeliani non durante le battaglie con Hezbollah bensì dopo il cessate il fuoco, da sanguinose incursioni dopo il cessate il fuoco.

Malgrado gli israeliani non siano stati in grado di raggiungere i loro obiettivi finali ribadisco che essi stanno agendo con una mentalità criminale e irrazionale: stanno perseguendo un’aggressione feroce ferocia e senza regole. Questo è estremamente pericoloso e, a mio parere, si ritorcerà contro di loro. Intendo questo in particolare: si noti anche che gli israeliani hanno attaccato il Qatar, che ospita la più grande base americana ed è alleato degli americani. Gli israeliani hanno preso di mira le installazioni militari turche in Siria, e c’è un problema e una sorta di forte competizione per la sicurezza all’interno della Siria tra israeliani e turchi.

I sionisti stanno ora apertamente parlando di un Grande Israele, un concetto che sta suscitando preoccupazione tra gli alleati americani nella regione e potrebbe minacciare i loro interessi, come quelli di Arabia Saudita, Giordania, Egitto e altri paesi. Pertanto, a mio avviso, ci troviamo di fronte a una situazione aperta a molte possibilità e sarebbe un errore considerare la battaglia conclusa. In questa fase delicata, il nostro discorso richiede una combinazione di coraggio e realismo.

Si tratta di combinare la capacità di mantenere saldi i nostri principi con l’evitare avventure sconsiderate, ciò che metterebbe a repentaglio i nostri interessi. Sono equazioni delicate, affrontarle teoricamente è facile, ma quando si è coinvolti nel processo decisionale politico, le cose diventano estremamente complesse.

Quindi, qual è la soluzione? Quali sono i beni comuni? Cosa dovremmo fare a questo punto? Sto parlando qui con degli amici, e questa è la grande domanda che tutti ci poniamo, che discutiamo nei circoli decisionali e anche con i nostri amici, per giungere alla visione adeguata per affrontare questa fase. L’amico marocchino [il giornalista Mansouri Abdelillah NdR] ha affrontato questa mattina il problematico rapporto tra cambiamento politico e liberazione della Palestina.

Ricordo un’affermazione molto importante del leader storico palestinese George Habash, affermazione costantemente presente nel pensiero politico arabo: la necessità di cambiamenti di regime nell’area, intendo i regimi arabi, è una delle condizioni necessarie per la liberazione della Palestina. Ma credo che, nonostante l’importanza di questa questione, non sia la questione del momento. La questione del momento, e questo potrebbe sorprendere molti, non è la liberazione della Palestina.

La questione del momento è preservare la nostra esistenza, preservare la resistenza e avere la volontà di resistere e continuare. Al momento siamo in una posizione di difensiva strategica. Questo è uno dei principali risultati derivanti da tutti gli sviluppi significativi che hanno attraversato il Medio Oriente nell’ultimo periodo. Siamo in una posizione difensiva.

Quali sono le opzioni pratiche? Credo di poter indicare o immaginare tre possibili e ipotetici sviluppi della situazione.

Il primo è uno scenario ipotetico: uno sviluppo nei negoziati tra Stati Uniti e Iran o tra Europa e Iran che spingano la situazione nella regione verso una de-escalation, inaugurando un periodo di relativa stabilità che ci consenta di rivalutare la situazione e ricostruire le nostre capacità. Questa è la prima possibilità, sebbene non vi siano indicazioni concrete che la situazione sul campo si muova in questa direzione.

La seconda possibilità è che gli israeliani continuino la guerra. Sembra avvicinarsi il giorno in cui la guerra torni in Libano a motivo delle armi di Hezbollah in Libano. Alla luce di ciò, ed è questa la conclusione a cui voglio giungere, è che in questa eventualità non avremmo altra scelta che difenderci, se non quella di aggrapparci alla volontà di resistenza, nessuna altra scelta che combattere il nemico israeliano se esso scatenerà un’altra guerra contro il nostro Paese. L’israeliano non ci offre la scelta tra la resa e la morte. Equipara la stabilità alla sottomissione e cerca di consolidare l’equazione padrone-schiavo. La resa, amici miei, non è per noi concepibile. Non pensate nemmeno per un attimo che la resistenza sia debole o che il popolo libanese sia sul punto di sottomettersi al nemico israeliano. Non resteremo a guardare, aspettando che l’entità isreliana ci sferri il colpo di grazia. Per noi la resa è assolutamente fuori questione. Pertanto, riguardo a questa seconda possibilità affermo che dobbiamo difendere il nostro diritto all’autodifesa, che dobbiamo combattere e confrontarci se i sionisti tornano in guerra. In caso di attacco non avremmo altre opzioni se non quella razionale, logica, patriottica e morale, di resistere. Non ce ne sono altre.

La terza possibilità tira in ballo i movimenti di solidarietà col popolo palestinese che stanno attraversando le società occidentali. Non c’è dubbio che si tratti di un fattore estremamente importante, sotto ogni aspetto.

A detta di tutti, questi movimenti hanno influenzato la consapevolezza araba riguardo al rapporto con l’Occidente. Questo Occidente non è un’entità unica, né un blocco monolitico e coeso. Il problema delle nostre società risiede nei regimi, non nei popoli. Di conseguenza le mobilitazioni in Occidente in difesa di Gaza, di condanna di Israele e di denuncia della guerra genocida condotta contro la popolazione di Gaza sono estremamente importanti. Tuttavia, è fondamentale che questo movimento abbia il potenziale per evolversi.

Ancora più importante, questa evoluzione deve essere in grado di influenzare le decisioni politiche occidentali. Pertanto, credo che ci siano due pilastri a cui dobbiamo attenerci in questa fase: le nostre società, che devono resistere, e le vostre società, che devono fornire un sostegno globale a questa resistenza.

E abbiamo bisogno —e spero che il traduttore riesca a trasmettere correttamente ciò che intendo — che sia dovere delle nostre società e dei nostri movimenti resistere, e dovere dei nostri amici in Occidente fornire sostegno internazionale a questa resistenza, continuare l’assedio di Israele e insistere per influenzare le decisioni politiche occidentali.

Mi rendo conto che si tratta di un processo estremamente complesso. Tuttavia, non abbiamo altre opzioni, dobbiamo considerare le condizioni pratiche che ci consentano di coordinare questi due livelli.

Ho discusso con alcuni amici e stiamo concretamente valutando i passi concreti e appropriati che ci consentano di approfondire questa relazione tra i due livelli che ho menzionato.

Per concludere, amici miei, la situazione geostrategica è estremamente complessa, ma credo che le posizioni siano molto chiare: dobbiamo perseverare, dobbiamo continuare, dobbiamo resistere, dobbiamo esercitare il nostro diritto a difenderci e dobbiamo sviluppare questa consapevolezza umana globale al servizio dei valori umani, non solo al servizio della Palestina e del Libano.

Grazie a tutti».

* Tra i fondatori di Hezbollah, parlamentare e docente universitario, autore di libri e numerosi saggi, considerato “il maggiore ideologo di Hezbollah”

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