Tra le tante “riforme” che vorrebbero realizzare, una l’hanno già portata a casa: l’abolizione di fatto dell’istituto delle dimissioni.
Se l’Italia fosse un paese serio, l’astuta Meloni non sarebbe più al suo posto, mentre l’amicone di Draghi avrebbe già lasciato il ministero dell’Economia. La Lega si sarebbe già divisa in tre, ed il Pd avrebbe dovuto smettere di giocare di rimessa. Ma la serietà è merce sconosciuta e la grande farsa può così continuare.
Abbiamo già avuto modo di parlare del nulla assoluto della quarta Finanziaria (alias Legge di Bilancio) dell’era meloniana, ma poiché al peggio non c’è limite, siamo costretti a tornarci sopra.
In spregio a qualsiasi regola democratica, è ormai invalso l’uso di presentare un primo testo alle Camere, per poi sottoporlo non tanto al dibattito parlamentare (roba d’altri tempi, si direbbe), quanto piuttosto al fitto bombardamento di emendamenti governativi. Il governo emenda a raffica sé stesso, talvolta perfino in maniera contraddittoria, preda com’è delle convulsioni interne alla propria maggioranza. Un continuo tornarci sopra che rende confusa la discussione financo agli addetti ai lavori, figuriamoci al cittadino comune.
Questa pratica, barbara assai, non è certo una novità meloniana, ma di sicuro il governo della stridula galleggiatrice sta battendo ogni record.
L’ultima trovata gli è andata però di traverso. Volendo accogliere (ci mancherebbe!) la richiesta di altri danari dell’incontentabile Orsini, a nome di Confindustria, il duo Meloni-Giorgetti ha pensato bene di utilizzare il bancomat delle pensioni.
Hai pagato gli onerosi contributi per riscattare gli anni della laurea? Sei un fesso che verrà punito per la tua dabbenaggine con la progressiva erosione del loro valore. Avevi già calcolato i tempi del tuo pensionamento? Una sciocca illusione, visto che il mago Giorgetti le finestre di uscita le allunga e le allarga a piacimento. Insomma, il trionfo di una certa Elsa Fornero, da giorni comprensibilmente gongolante sulla stampa.
Ma a tirarla troppo, talvolta la corda si strappa. E così è stato, con la Lega che ha imposto un provvisorio e parziale stop proprio al leghista Giorgetti. In tempi normali, certamente nella vituperata Prima Repubblica, le sue dimissioni sarebbero state immediate. Ma qui, nella quotidiana farsa di quella che sarà “Seconda” ma che è sempre meno “Repubblica”, figuriamoci se ci si dimette.
Anzi, il Giorgetti resta al suo posto, la stridula galleggiatrice pure, e la Lega continua a far finta di essere un partito unito.
Sta di fatto che l’emendamento arenatosi l’altro giorno è già stato sostituito con un altro che salva le apparenze, ma conferma la sostanza: gli amici industriali avranno comunque i loro 3,5 miliardi (e questo è quel che conta!), i pensionati pagheranno sempre la loro parte, stavolta con il taglio dei fondi per i lavoratori precoci (quelli che hanno iniziato a lavorare prima dei 19 anni) e per i lavori usuranti, due categorie già penalizzate che vedranno così allungarsi di nuovo i tempi del pensionamento. Il resto verrà coperto con nuove sforbiciate da individuare.
Non è finita. Sapete come giustificano l’ennesimo regalino a lorsignori? Con l’elevato costo dell’energia elettrica per le industrie italiane. Ma quel costo è frutto dell’enorme speculazione che il governo consente alle compagnie energetiche nella Borsa elettrica (leggi QUI). Ecco chi avrebbe dovuto pagare almeno quei 3,5 miliardi, visto che in realtà ne lucra molti di più! E invece no, a pagare saranno i pensionati e chi si vedrà tagliare altri servizi e prestazioni!
Da notare come in parlamento questa cosa non la dica nessuno. Non lo dicono ovviamente i partiti di governo, ma neppure quelli della finta opposizione: non solo i profitti sono sacri, ma pure i superprofitti speculativi sono intoccabili. Per tutti.
Questo assurdo tourbillon sulla testa della povera gente è una vera vergogna. Il simbolo di un governo ferocemente classista ed autoritario. Un governo senza principi, ma pure senza strategia. Un governo che non cade solo per l’opposizione più insulsa della storia repubblicana. Una “opposizione” che può solo giocare alla facile polemichetta del giorno, ma senza uno straccio di idea che possa far pensare a qualcosa che assomigli vagamente ad una pur modesta alternativa. Del resto, ad una “opposizione” europeista l’austeritario Giorgetti non può che piacere. Non lo può dire, ma è così.
Stessa cosa sulla guerra. Una vera opposizione avrebbe buon gioco a chiedere conto a Meloni delle ultime scelte in materia di riarmo e di un finanziamento all’Ucraina che ha l’evidente scopo di far continuare il conflitto. Ma l’attuale finta opposizione non può farlo, perché complice in buona parte di quelle scelte.
Ecco allora che la critica a Meloni si incentra sulla sua scelta di non sposare l’utilizzo dei fondi russi immobilizzati nell’Ue, principalmente in Belgio. Ma quel no, frutto anche dell’indubbia astuzia della Presidente del consiglio, ha però spianato la strada ad un debito comune che da un lato lega ancor più l’Ue a Kiev ed alla cricca guerrafondaia dei cosiddetti “volenterosi”, e dall’altro impegna di fatto l’Italia per 13,5 miliardi di euro. Un impegno al quale ne seguiranno probabilmente altri. Complimenti!
Che forse la finta “opposizione” attacca Meloni per questa duplice responsabilità, politica ed economica? Ovviamente no, visto che la guerra alla Russia è la linea del Partito democratico, dei renziani e dei calendiani, mentre la correntina esterna degli opportunisti di Avs mai si staccherà dal Pd (vedi l’ultimo voto a Strasburgo). Resterebbe il Movimento Cinque Stelle, certamente tentato da qualche possibile sortita, ma gli accordi siglati alle ultime elezioni regionali parlano chiaro. Come la Lega abbaia ma non morde nel recinto della destra, stessa sorte toccherà probabilmente ai pentastellati in quello del “Campo largo”.
Torniamo allora all’inizio. Se l’Italia fosse un paese serio se ne vedrebbero delle belle, tanto nel campo governativo, che in quello dell’opposizione parlamentare. Di certo, la farsa attuale dovrebbe finire. Per ora, finisce invece ogni residuo di democrazia reale, sostituita sempre più dall’insopportabile teatrino dell’alternanza.
Un teatrino che regge sempre meno di fronte all’incedere dei fatti, all’aggravarsi dei problemi, all’incombere della guerra, ma che per ora è sempre lì.
La sacrosanta lotta per mandare a casa il governo Meloni non va vista, perciò, nell’ottica dell’alternanza, bensì in quella di una crisi sistemica che abbisogna di un’alternativa radicale, dunque della cacciata degli attuali gruppi dirigenti di destra e centrosinistra, insieme ai diversi centri di potere che sorreggono il sistema. In breve: via Meloni, come primo passo per andare oltre il regime bipolare del liberismo e della guerra.
Chiediamo troppo? No, chiediamo solo il necessario.
PS – Farsa e tragedia. Non è improbabile che la farsa attuale sfoci in tragedia. Il degrado della politica è un bel combustibile dei processi autoritari. Autoritario è il progetto istituzionale del governo, vedi alla voce “premierato”. Ma c’è pure un altro autoritarismo che trae alimento dall’attuale sfacelo: quello che alberga al Quirinale. Ormai abbiamo un presidente della Repubblica riarmista e guerrafondaio, che un giorno sì e l’altro pure indica la strada dello scontro con la Russia. Sarebbe ora di dire basta.
