IL FRONTE DEL DISSENSO E LA QUESTIONE DEI DIRITTI

Approvato dalla II. Assemblea Nazionale del Fronte del Dissenso, Chianciano Terme 29-30 marzo 2025

Nell’esaminare il tema dei diritti latu sensu, intesi sia come diritti civili che sociali, e considerando appartenenti, alla prima categoria come alla seconda, anche diritti considerati fondamentali, non possiamo esimerci dall’osservare quanto già contenuto e indicato nel testo della nostra Costituzione.

All’interno dell’evoluzione storica, economica e culturale del tessuto sociale, il legislatore ha infatti individuato profili d’intangibilità dell’uomo (dell’essere umano) che hanno assunto la veste di diritti fondamentali, inviolabili appunto, di cui in primis all’art. 2 della carta fondamentale.

L’art. 2, in funzione di clausola generale aperta, oltre a operare il “riconoscimento” dei diritti inviolabili della persona, dunque non attribuiti per forza di legge ma riconosciuti come tali in quanto esistenti ancor prima del diritto, ha rilevanza nella tutela di tutte quelle situazioni soggettive che, in mancanza di uno specifico riferimento normativo, si configurano come proiezione della personalità dell’individuo nel contesto sociale. Il testo sembrerebbe alludere ad una lettura giusnaturalistica. Tuttavia, in una interpretazione politicamente e storicamente più corretta, il riferimento autentico non è tanto alla natura pre-giuridica di tali diritti, quanto al valore – questo sì altro rispetto a qualunque forma di regolamentazione – dell’Essere Umano in sé stesso.

La persona, cioè, in simbiosi con il contesto storico, politico, culturale ed economico, si conferma essere il valore fondante dell’ordinamento giuridico, protagonista di situazioni esistenziali non sempre determinabili, a cui possono corrispondere forme di protezione e tutela tipiche ed atipiche.

In questo esercizio di tutela, soccorre l’art. 3 della Costituzione, storicamente assurto a norma-manifesto del principio di uguaglianza formale e sostanziale, che obbliga la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la realizzazione della parità effettiva dei soggetti dell’ordinamento, in funzione della tutela della loro dignità.

E’ lo stesso concetto di dignità, che deve divenire principio ermeneutico non solo nel rinforzare i diritti costituzionalmente assistiti, ma proprio divenendone criterio d’interpretazione, agevolandone il perimetro e la definizione dei contenuti. In questa chiave di lettura, all’espressione «dignità umana» diviene molto difficile, se non ontologicamente impossibile, attribuire uno specifico significato “statico”, dal momento che la nozione stessa di dignità è destinata ad assumere mutevoli valenze a seconda dell’evolversi dei rapporti civili, economici e culturali della società. A maggior ragione nella fase di profonda trasformazione che viviamo, e dei mutevoli rapporti di forza, dettati anche dall’incessante progresso tecnologico, e dell’impatto che essi hanno sulla qualità della vita umana.

Diviene dunque imprescindibile riformulare e reinterpretare categorie giuridiche tradizionali: le conquiste nel campo della tecnologia e della scienza medica ampliano i confini dei diritti classici della personalità, attraverso la individuazione di figure giuridiche soggettive inedite, affiancando – a solo titolo esemplificativo –  al diritto alla riservatezza personale il diritto alla riservatezza tecnologica, al diritto alla identità personale il diritto alla identità genetica, al diritto alla libertà personale il diritto all’autodeterminazione sanitaria, al diritto all’educazione scolastica, o all’informazione pluralista, il diritto all’autonomia cognitiva.

Così, tra spinte reazionarie protese alla cancellazione dei diritti conquistati con fatica dalla modernità, e la corsa verso un estremismo libertario progressista, volto a un concetto di inclusione radicale, in ragione della quale ogni diritto è rivendicabile in quanto tale (dunque diviene libertà assoluta, inviolabile, non più controaltare di un dovere…quando non desiderio o capriccio), esiste una terza opzione, una terza strada che come Fronte del Dissenso ci sentiamo di scegliere. Siamo rivoluzionari conservatori, e come tali riteniamo che nella combustione nichilista in cui va a compimento la fusione tra tecnica e capitale (ove quest’ultimo si smaterializza nella dispersione dei circuiti digitali), l’alienazione del genere umano dalla propria essenza (matrice spirituale) ma anche dal proprio corpo, rappresenta il punto più basso dell’umanità nei termini della percezione della propria Identità, che dovrebbe essere quella dell’essere umano vivente in comunità. Il progetto transumano che accompagna i processi dell’Epoca cybercapitalista rappresenta un attacco diretto e frontale al genere umano nella sua integralità. Intelligenza artificiale, ingegneria genetica, bio(e)nanotecnologie, ibridazione uomo-macchina (cibernetica, robotica), ibridazione uomo-animale (oltre all’ormai consolidata e vetusta ibridazione uomo-merce) sono le ultime frontiere della scienza postmoderna (a-etica) quale fattore del capitale digitale. Tutti gli stadi della storia del capitale comportano l’alienazione del genere umano dalla propria essenza. Quest’ultimo, però – e in questo la sua filosofia è il transumanesimo – prevede che l’allontanamento non sia soltanto dalla nostra matrice spirituale ma anche dal nostro stesso corpo, vale a dire dalla Natura umana nella sua totalità.

Inclini all’approccio storicistico e antiglobalista, secondo il quale i diritti soggettivi sono sempre il frutto storico di lotte di rivendicazione, e dunque di una maggiore o minore difesa delle libertà fino a prima non riconosciute dal vecchio potere, come rivoluzionari conservatori riteniamo, parafrasando un grande rivoluzionario, che la rivoluzione sia in sé fonte del diritto.

In senso lato, è facile comprendere come i tradizionali diritti soggettivi siano oggi sottoposti ad una tensione (dovuta a una idea “rivoluzionaria” del concetto stesso di Uomo) e dunque alla necessaria estensione dei loro contenuti, rendendosi evidente l’esigenza di una tutela che sappia coprire i nuovi spazi in cui quei diritti si estrinsecano.

Andando con ordine, e iniziando dai diritti riconosciuti e considerati inviolabili di cui al richiamato art. 2 della Costituzione:

  1. Tali diritti sono riconosciuti all’Uomo prima ancora che al cittadino, sia come individuo (diritto alla libertà, al nome, alla propria identità, alla espressione del proprio pensiero…) sia come parte di formazioni sociali (diritto di associazione e di riunione): come detto, avendo questa norma funzione di clausola generale aperta, andranno in essa ricomprese (in ottica de iure condendo) quegli stessi diritti che per estensione potremmo chiamare
  1. non solo diritto all’identità ma tutela dell’identità genetica, e decisa regolamentazione dell’identità digitale, tesa anche ad impedire la violazione del furto di identità tramite clonazione digitale.
  2. non solo libertà personale nella sua accezione più estesa, come libertà da qualsiasi costrizione fisica – se non dove previste dalla Costituzione stessa – ma come libertà morale, cioè libertà di compiere in autonomia scelte di vita, che ben possono oggi trovare un limite importante nella digitalizzazione estrema degli accessi a enti pubblici e istituti scolastici, quando non banalmente a servizi di vario genere (trasporto, prenotazioni di prestazioni mediche…iscrizioni a poli universitari o esami di ammissione).
  3. la stessa libertà di espressione del pensiero, incontra sfide inedite: essa non può non contemplare il diritto alla autonomia cognitiva. Una sorta di “habeas mentem” che consenta ai cittadini (rectius agli esseri umani in questo caso) di raggiungere quella autonomia intellettuale per poter selezionare e interpretare razionalmente le comunicazioni che riceve, in particolare attraverso le comunicazioni elettroniche/digitali o attraverso i media di informazione di massa. Garantire i diritti inviolabili, come recita la nostra Costituzione, senza garantire ex ante l’autonomia cognitiva, rischia di essere un esercizio manieristico vuoto, privo di contenuto.
  4. così la libertà di domicilio, o la libertà e la segretezza della corrispondenza. Inutile sottolineare come, con la molteplicità di supporti tecnologici (banali smart phone o computer, quando non Alexa et similia) di cui spesso sono corredati i cd. domicili, o abitazioni, sia private che lavorative, le possibilità di violazione si moltiplicano in via esponenziale.
  5. un paragrafo a parte merita la questione dell’identità di genere e all’ideologia LGBTQIA+ che, lungi dall’essere un diritto fondamentale, risponde alle più sfrenate scorribande pseudo-ideologiche dell’inclusività “whatever it takes”, che in spregio a qualunque principio biologico, storico e sociale, pretende di veder riconosciuta erga omnes un’identità dai confini incerti, in realtà funzionale all’eliminazione stessa del concetto identitario, preludio del transumanesimo cybercapitalista.  Chiaramente il problema non può essere posto nei termini di libertà riconosciuta e riconoscibile a chiunque. Resta indiscutibile il rispetto per una scelta ponderata, consapevole, e in ogni caso intima delle proprie preferenze sessuali. Siano esse omo che trans sessuali. Il tema tuttavia è invece da affrontare nei suoi termini corretti di attacco massiccio al processo di identificazione, nell’età evolutiva più delicata, l’infanzia e l’adolescenza, attraverso un’ideologia pervasiva – e pericolosamente persuasiva –   fortemente finanziata dagli stessi apparati di potere che vedono nei riferimenti banalmente binari un ostacolo al progetto transumanista. Si aggiungano poi le derive etiche e morali conseguenti, legate tanto alla mercificazione del corpo in funzione procreativa, condotta per la quale  — come altri paesi in Europa — manteniamo (per ora) il divieto, nonostante le ripetute e rinnovate sollecitazioni, quanto alla industria farmacologica (e chirurgica) che, in spregio al più elementare dovere di non ledere, profitta di situazioni esistenziali spesso bisognose più di un supporto psicologico o psichiatrico, che farmacologico.

2. Quanto ai diritti sociali, cioè tutti quelli che prevedono un’azione da parte dello Stato affinché si estrinsechino, rimuovendo le diseguaglianze di carattere sociale ed economico:

Quanto al diritto alla salute

  1. caduti in un nuovo paradigma sociale dove i rapporti medico paziente sono quasi esclusivamente ispirati al formalismo burocratico, e dove i protocolli sanitari spingono sempre più verso la spersonalizzazione della relazione terapeutica (tele medicina) o verso l’imposizione di scelte terapeutiche standardizzate, quando non illecite – come nel caso della vaccinazione di fatto obbligatoria Sars-cov 2 o della Legge Lorenzin sulle vaccinazioni pediatriche –, è evidente che il diritto alla salute non può più dirsi tutelato sic et simpliciter dall’accesso alle cosiddette cure. Va ribadito invece il diritto alla completa autonomia del cittadino nella scelta terapeutica, anche in quella correlata alle cure palliative e al fine vita, regolamentando con grande cura questo specifico aspetto, altrimenti lasciato a un pragmatismo troppo disinvolto – da un lato – o a un fondamentalismo religioso che presuppone l’inviolabilità e la sacralità della vita, anche quando vegetale. Di nuovo, la dignità di cui si parlava in premessa diventa criterio ermeneutico in virtù dal quale capire quando le sofferenze della persona non sono più compatibili, appunto, con la sua dignità di essere umano.
  2. chiarissima la tendenza alla privatizzazione della sanità “pubblica”, sulla quale ribadiamo la necessità, e l’urgenza, di investire importanti risorse senza le quali diviene persino apodittico parlare di diritto alla salute…
  3. diritto alla salute che si esprime anche attraverso un’alimentazione sana. Il processo ormai imperante dell’industrializzazione delle coltivazioni, e degli allevamenti intensivi, opera con il solo obiettivo della massimizzazione del profitto. L’utilizzo di pesticidi e anticrittogamici, o di e antiparassitari, oltre che di estrogeni e antibiotici per gli allevamenti intensivi, avvelena i prodotti che normalmente si acquistano nella grande distribuzione. In questo senso incentivare la possibilità di colture locali e le attività di piccole imprese agricole (sottraendole al giogo delle grandi industrie sementiere, con un ricco corollario di produzione ogm, anch’esso nocivo alla salute dei cittadini) è idealmente un progetto che combinerebbe felicemente la piccola imprenditoria (anche giovanile?), la cura dei territori e la cura della salute pubblica.
  4. Inizio vita: un paragrafo a parte merita il tema dell’inizio vita e delle correlate facoltà previste dalla legge 194/78. Consapevoli della drammaticità rappresentata dalla scelta di interrompere una gravidanza, si ritiene opportuno affrontarne la complessità all’interno di un dibattito maturo, capace di dare voce a prospettazioni filosofiche, spirituali e politiche, spesso assai differenti. Qui è tuttavia importante, in via preliminare, anche al fine di una corretta perimetrazione dell’argomento, analizzare i dati dell’ultima Relazione del Ministero della Salute sull’attuazione della legge 194/78, che ci restituiscono una riduzione pari al 71,9% del ricorso alla IVG dal 1983 al 2022. Un dato sicuramente eloquente e verosimilmente riconducibile al contestuale calo delle nascite e al crescente accesso alla contraccezione ad alta efficacia, compresa quella di emergenza. Questa preliminare osservazione ci può consentire di orientare il nostro futuro dibattito, e la nostra conseguente azione politica, su due linee parallele. Da un lato il tema della denatalità e le sue ragioni (se davvero causa e non – anche – effetto della riduzione della pratica interruttiva) e dall’altro il tema della contraccezione ad alta efficacia, o/e anche di emergenza e di quanto essa stessa possa incidere (o no) sull’etica della scelta abortiva. Fatta questa brevissima premessa, respingiamo posizioni radicali che pretendano la configurazione da un lato di un diritto assoluto del nascituro (anche in spregio al diritto alla salute della donna, e dunque anche alla sua libertà di scelta terapeutica), e dall’altro l’uso dell’interruzione della gravidanza come metodo contraccettivo.

Quanto al diritto alla previdenza sociale:

  1. Il ripristino del metodo di calcolo retributivo, e soprattutto di una corretta indicizzazione per poter consentire il diritto a una vecchiaia serena, con pensioni che rispondano al criterio della dignità, per l’appunto

Quanto al diritto all’educazione scolastica:

  1. Parlare di diritto all’educazione scolastica pensando di poterlo raggiungere solo attraverso la garanzia e la gratuità del servizio pubblico fino al 18° anno di età, ancora non porta l’attenzione su temi che invece sono divenuti particolarmente invasivi oltre che di grande attualità, come la digitalizzazione della scuola e l’utilizzo disinvolto di strumenti tecnologici, nello svolgimento del lavoro tanto in classe quanto a casa. Supporti che possono anche agevolare lavori di gruppo, o di ricerca, ma che non devono diventare sostitutivi della normale grafia specie in età precoce. Tendenziale e progressiva abolizione di lezioni da remoto, o di cdc online…senza escludere, ma anzi promuovendo, una cultura digitale consapevole già in età scolastica.

Quanto al diritto alla difesa legale, specie penale:

  1. Si parla da anni di giusto processo e di come i poteri di accusa e difesa debbano essere idealmente paritetici. Se questo è un obiettivo tecnicamente e realisticamente poco raggiungibile (per evidenti sproporzioni di carattere economico e logistico), evitare almeno che le trappole digitali, legate al processo telematico, annulli quel poco che rimane nell’esercizio dei propri diritti a difendersi. La riforma Cartabia, di fatto voluta e istruita solo per andare incontro alle esigenze europeiste e finanziarie legate al PNRR, è stata elaborata spesso in spregio a diritti costituzionalmente assistiti. 
  2. Seriamente introdurre dei limiti reddituali dignitosi per l’accesso al patrocinio gratuito (oggi sotto la soglia di miseria…). Diversamente, di fatto, molti cittadini vengono privati dell’accesso a una difesa penale tecnicamente qualificata. Confermando così che la legge non è uguale per tutti…

Quanto al diritto al lavoro:

  1. Le sfide legate alla implementazione dell’intelligenza artificiale, e al suo innegabile impatto su vari segmenti del mercato del lavoro, si combinano con una situazione complessiva caratterizzata dal precariato (soprattutto giovanile) quando non dalla disoccupazione (sia pure non ai massimi storici)
  2. Prevedere una stretta quanto precisa regolamentazione dell’utilizzo della IA che idealmente non si possa porre in sostituzione della forza lavoro umana, ma a sostegno della stessa, deve andare di pari passo con un piano per il lavoro già delineato nelle linee programmatiche del FDD. Ciò richiede un rovesciamento delle politiche neoliberiste che affermi i diritti fondamentali dei lavoratori: indicizzazione degli stipendi con il ripristino della scala mobile; lotta al precariato nelle sue molteplici forme; abolizione di ogni forma di discriminazione; contrasto severo alle politiche di schiavitù di ritorno, legate all’immigrazione clandestina e al caporalato.

Infine il diritto alla casa e alla proprietà privata personale:

  1. In primo luogo: il diritto alla casa deve essere garantito a tutti, con il rilancio di un’edilizia popolare dignitosa e l’utilizzazione e la valorizzazione dei grandi patrimoni immobiliari oggi abbandonati.
  2. Come noto la Costituzione riconosce il diritto alla proprietà privata determinandone modi di acquisto, di godimento e limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. Tale principio, assicurare la funzione sociale e rendere accessibile a tutti la proprietà privata, da sempre inapplicato, viene ripetutamente disatteso e gravemente minacciato, violato e compromesso dall’ideologia dominante neoliberista.
  3. L’attacco alla piccola proprietà a favore delle grandi speculazioni, come le recenti e ripetute imposizioni legate all’efficientamento energetico e più in generale alla green economy, rischiano di produrre una sorta di “espropriazione assistita”, un meccanismo diabolico in ragione del quale svuotare di valore economico la piccola proprietà personale a vantaggio delle grandi corporation e fondi di investimento.
  4. Vanno rigettate dunque le politiche europeiste che rispondono agli interessi delle élite finanziarie dei grandi gruppi, e spingono perché il parco immobiliare italiano (tra i più ricchi e maggiormente posseduti da privati) perda inevitabilmente valore.

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