Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Non si può negare la caratura politica e ideologica di Di Battista. I suoi interventi nei talk e sul Fatto Quotidiano sono condivisibili. Lui è uno dei rarissimi del mainstream che ha posizioni corrette, soprattutto quando affronta temi come la guerra, Israele e Palestina e il sud globale.
E’ da ammirare la sua capacità comunicativa, il suo rigore e la sua totale mancanza di soggezione nei confronti dei poteri forti.
Ha preso delle cantonate (vaccini, una certa ambiguità nella questione ucraina, il non accettare di mettersi a capo del M5S, quando il movimento, ancora forte sia in parlamento che tra gli elettori, ma in fase discendente per i motivi che sappiamo, aveva bisogno di un leader radicale e amato dalla base), ma gli va riconosciuta una dose rara di sincerità e passione.
Dov’è che casca l’asino? L’aperta contraddizione fra quell’ideologia che lo contraddistingue e fa di lui un dissenziente e la sempre dichiarata ammirazione per G. Casaleggio.
Se veramente le teorie di quest’ultimo, guru e portatore di una visione del mondo e della politica preoccupante, sono fatte proprie senza una totale dissociazione del nostro, allora c’è da essere molto, ma molto preoccupati.
E’ inutile ricordare che quando è nato il movimento M5S, tutti noi ci siamo gasati, affascinati dalla novità e dalla critica alla politica dei partiti di Grillo e GRC.
Eppure c’erano già allora grossi elementi di ambiguità, che dipendevano dall’impostazione che era stata data al movimento da GRC.
Innanzi tutto lo strumento fondamentale di costruzione del soggetto politico erano i meetup, cioè canali di comunicazione telematici che modificavano le relazioni fra militanti, i cosiddetti nodi di rete, che sostituivano le riunioni di partito e trasferivano sui territori le posizioni della dirigenza, cioè di GRC e in secondo piano di Grillo. Chi non seguiva i diktat di questo comitato a due, o meglio a uno e mezzo, veniva espulso.
Vigeva l’iscrizione on line, non c’era quindi alcuna selezione in base all’impegno ecc.
La famosa piattaforma Rousseau in mano a GRC gestiva tutte le attività e possedeva i nomi degli iscritti, aveva quindi in mano tutta l’organizzazione, che si articolava secondo regole non stabilite da alcuno statuto. Non vi ricorda qualcosa? Magari la celebrata diarchia di DSP, Rizzo-Toscano? Se poi pensiamo alla enfatizzazione sulle magnifiche sorti di internet, che avrebbe portato, secondo il pensiero casaleggesco, alla creazione di un’intelligenza collettiva interfacciata e organizzata da Google, siamo molto vicini all’Agenda 2030.
L’umanità, ridotta a un miliardo di persone (sic)diventa un unico soggetto e l’individuo è fruitore e produttore di dati: non vi è più divaricazione fra la vita reale e quella virtuale e l’architrave della politica e della vita di ogni cittadino diventa il web. Quindi l’agorà elettronica sostituisce la mediazione fra il cittadino stesso e la politica. Ognuno può proporre leggi, può votare, sempre on line, ecc. insomma siamo di fronte a quello che alcuni filosofi chiamano ribellismo cellulare.
Il grande quesito non risolto è: chi possiede la rete e chi ha la capacità di gestirla? Da Uno vale Uno a Uno vale nessuno.
Sembrerebbe che la grande menzogna e la grande illusione del M5S siano contigue e funzionali alle ipotesi e proposte formulate a Davos. Casaleggio anticipatore di Schwab.
Carissimo Alessandro, scegliti pensatori di riferimento autenticamente rivoluzionari. Per fortuna ce ne sono parecchi, anche se non appaiono mai nel mainstream e non hanno un comico che faccia loro da ventriloquo.