Riceviamo e volentieri pubblichiamo
A proposito dell’assemblea nazionale indetta da Potere al Popolo
Sabato 25 ottobre ero a Roma. Non alla rituale manifestazione cigiellina, bensì a quella che si annunciava come una combattiva ed importante assemblea. “Cambiare tutto” era il tema dell’incontro promosso da Potere al Popolo con lo scopo di costruire “un blocco politico e sociale indipendente verso il 2027”. Verso, cioè, le elezioni politiche previste per quell’anno.
Diciamo che, dopo le grandi manifestazioni dell’ultimo mese, ho partecipato da “curioso interessato”. Curioso di capire quali riflessioni avessero finalmente spinto ad uscire dalla logica autolesionista del mero cartello elettorale. Interessato a comprendere le basi politiche del progetto, nonché la sua fisionomia culturale.
L’assemblea ha soddisfatto la curiosità, certo non la speranza di vedere almeno qualche grammo di consapevolezza in più. Trecento persone non sono poche, né erano pochi i giovani presenti. Ma in quanto a tutto il resto siamo allo zero assoluto. In realtà più che ad un’assemblea, si è assistito ad una serie di comizi di basso livello. Nessuna vera analisi della situazione interna ed internazionale, nessuna riflessione degna di questo nome, nessuno spunto, nessuno stimolo intellettuale, nessuna chiara proposta, nemmeno sulla forma che dovrebbe assumere il blocco politico sociale proposto.
Sono troppo duro? Chi lo pensa si guardi il video dell’assemblea, poi ne riparliamo. Tutti gli interventi seguivano l’identico modello: 1) il mondo fa schifo ed il fascismo avanza, 2) dunque bisogna cambiare tutto, 3) noi siamo l’alternativa e le masse ci seguiranno. Curiosamente, molti interventi hanno insistito sul tema dell’«indipendenza». Ma se si è così convinti dello schema di cui sopra, che bisogno c’è di sottolineare una cosa che dovrebbe essere implicita?
Forse, almeno a livello inconscio, questa indipendenza dal potere e dalla sua egemonia culturale è meno solida di quel che si vorrebbe far credere. Ecco che vengono in mente almeno tre domande.
Prima domanda: si è davvero indipendenti se si denuncia (giustamente) l’attuale spirale autoritaria, dopo non aver detto nulla, e (peggio) continuando a non dir nulla, sull’operazione Covid e la porcheria del green pass che tolse il diritto al lavoro a milioni di persone? Seconda domanda: si è davvero indipendenti se si accettano acriticamente la cultura woke, la dicotomia fascismo/antifascismo in stile la Repubblica, nonché le campagne terroristiche dei dominanti, come ad esempio quella sul clima? Terza domanda: si è davvero indipendenti se si attacca frontalmente (e giustamente) il “Campo Largo”, inclusa Avs (vedi l’intervento del portavoce Giuliano Granato), tralasciando il piccolo fatterello di aver votato proprio le liste di Avs alle elezioni europee dello scorso anno?
Cari amici di Pap, visto che volete “cambiare tutto”, non sarebbe intanto il caso di cominciare con qualche modesta autocritica?
Mentre pensavo (un po’ sconsolato) a queste cose, è arrivato l’intervento di Giorgio Cremaschi. E qui lo sconforto è andato alle stelle. Non solo noi di Pap siamo alternativi e indipendenti, ma siamo anche per il socialismo! Alleluia, mi son detto! Forse stavolta andremo un po’ al di là del solito movimentismo. Neanche per idea. La parola socialismo evoca infatti molte cose, e ammetterete che tra Lenin e Craxi qualche differenza c’è. Ma, soprattutto, il socialismo (tutti i “socialismi”) hanno subito una sconfitta epocale. Ripescare quella parola è comprensibile, magari anche auspicabile, ma a condizione che si cominci (ho scritto: cominci) ad entrare nel merito. E invece? Invece zero assoluto. Per Cremaschi il mondo va verso la barbarie (vero), dunque (sai che novità!) “o socialismo o barbarie”. E siccome (pensa un po’!) siamo contro la barbarie, noi di Pap siamo anche per il socialismo. Fine della trasmissione. A proposito, ma finora per cosa eravate?
Se il buongiorno si vede dal mattino, il progetto di Pap non andrà lontano. Indipendenza non significa strillare quattro slogan, alternativa non vuol dire “cambiare tutto” come nel “Mondo al contrario” di Vannacci. Anche i capitalisti (si pensi al gotha che si riunisce a Davos) vogliono a loro modo “cambiare tutto”. Il transumanesimo, ad esempio, sarebbe un cambiamento ancor più radicale del comunismo. Bisogna dunque cominciare a dire quale cambiamento vogliamo. Non c’è bisogno di una politica parolaia e massimalista, c’è bisogno piuttosto di una politica rivoluzionaria.
Ho una certa età e non mi aspettavo miracoli. Tanti incontri nazionali hanno deluso in passato. Non ricordo, però, tanta superficialità, tanta autoreferenzialità, tanti slogan senza sostanza.
Che il progetto di Pap non andrà lontano ce lo dicono anche le modeste forze raccolte: per ora solo i berlingueriani del Pci hanno detto sì all’appello di Potere al Popolo. Ma ce lo dice soprattutto l’assenza di una chiara autonomia culturale, più ancora l’impressionante disinteresse per la riflessione teorica. Da qui l’insostenibile leggerezza di una proposta che si autorappresenta come radicale. Peccato.
