Autunno di elezioni regionali. Spezzettate come le vorrebbero i fautori dell’autonomia differenziata. In date diverse, a seconda dei diversi interessi dei signorotti cui è stato conferito il potere di convocarle. Segno anche questo di un Palazzo della politica tanto ossificato, quanto distante dal Paese reale. Ma tant’è.
Dopo le Marche e la Valle d’Aosta (28 settembre), hanno votato la Calabria (5 ottobre) e la Toscana il giorno 12. Il 23 novembre toccherà infine a Campania, Puglia e Veneto. Cosa ci ha detto finora questa tornata elettorale? Non grandi cose invero. Molte conferme di ciò che già sapevamo, con una sola novità giunta dalla Toscana.
Partiamo da due conferme, cioè (1) dal costante aumento dell’astensionismo e (2) dalla fortissima tendenza a rieleggere i presidenti uscenti. Due fenomeni che ci parlano della profonda crisi di quella che ci si ostina a chiamare “democrazia”.
In Italia, ma è così in tutta Europa, la crescita dell’astensionismo è in atto da alcuni decenni. Figlia della crisi dei partiti e delle ideologie su cui si reggevano, tutte assorbite da tempo dal pensiero unico dominante, neoliberista in economia e tecnocratico in politica. Naturalmente ogni elezione è diversa dall’altra, e talvolta agiscono fattori particolari a spingere verso l’alto o verso il basso il tasso di partecipazione, ma nell’insieme il fenomeno è fin troppo chiaro ed univoco.
Tralasciando qui, per la sua peculiarità, il dato della Valle d’Aosta (62,98%), il quadro della partecipazione al voto nelle altre tre regioni parla da solo: Marche 50,01%, Calabria 44,36%, Toscana 47,73%. Numeri in realtà non nuovissimi, tantomeno sorprendenti, ma che ci consegnano ormai un Paese spaccato in due: una metà che per le ragioni più diverse non vota; un’altra metà che vota essenzialmente i due blocchi intercambiabili (centrodestra e centrosinistra) del regime bipolare.
Che questi due blocchi siano intercambiabili, molto simili nelle loro politiche, a dispetto dei litigi a pro dei gonzi nel teatrino dei talk show, ce lo dice appunto quella che ormai possiamo definire come la “legge della riconferma dei presidenti uscenti”. Una “legge” che si impone tanto a destra (Marche e Calabria), quanto nel centrosinistra (Toscana). E laddove non si impone (lo vedremo a novembre nelle altre tre regioni al voto) è solo perché il presidente uscente non è più ricandidabile.
Da cosa nasca questa interessante tendenza alla conservazione è piuttosto evidente: dai vantaggi clientelari offerti dal potere, che come diceva Giulio Andreotti spesso “logora chi non ce l’ha”. Un logorio tanto più forte in un’epoca di spoliticizzazione di massa come la nostra.
La “democrazia dell’alternanza”, così è stato a lungo definito l’orribile sistema scaturito dall’imposizione di leggi elettorali maggioritarie e presidenzialiste, si palesa così sempre più come falsa democrazia della conservazione. Conservazione nei due sensi di: (1) custodia bipolare della natura neoliberista, atlantista ed autoritaria del sistema; (b) conservazione del ceto politico ad essa preposto, meglio se innervato con i potentati economici locali e nazionali.

E’ esattamente questo potente innervamento, non certo l’inesistente “buongoverno” rivendicato da tutti, la vera ragione dell’attuale stabilità delle diverse maggioranze nelle varie regioni.
Ovviamente, all’interno di questa stabilità generale non mancano relativi movimenti interni alle due coalizioni sistemiche. Movimenti piuttosto chiari nel caso della Toscana, dove a destra si è verificato il crac della scommessa di Salvini sulla “vannaccizzazione” della Lega, mentre nel centrosinistra si è registrato il prevedibile schianto di un M5s ormai normalizzato dentro il recinto bipolare.
Sta di fatto che questi due partiti, nonostante l’enorme spazio mediatico di cui godono, hanno preso meno voti della lista di Toscana Rossa. Il perché di questo tracollo non ha bisogno di troppi ragionamenti. Se i pentastellati hanno pagato l’inevitabile prezzo della loro omologazione, la Lega di Vannacci e Salvini ha scontato quello di un mercato della politica che a destra è già fin troppo affollato.
Un aspetto, quest’ultimo, che merita qualche parola in più. In tutta Europa la crisi del neoliberismo e della globalizzazione, che trascina con sé la residua credibilità della stessa Unione Europea, favorisce l’emergere di forze di destra in quasi tutti i Paesi del continente. Ma queste forze non sono omogenee tra loro. All’ingrosso (ma il discorso sarebbe in realtà più complesso) possiamo individuare due tendenze: una sommariamente definibile come “populista” e/o “radicale”, l’altra conservatrice e sistemica.
In Italia prevale la componente conservatrice. Che cos’è nella sostanza Fratelli d’Italia se non, mutatis mutandis, una versione aggiornata della vecchia Democrazia Cristiana? Certo, una versione un po’ più a destra, cioè più in linea coi tempi, ma con una notevole similitudine, ad esempio, con la Cdu tedesca, che della Dc italiana era a suo tempo una sorta di partito gemello. A questo proposito, la sistematica convergenza sulle più svariate questioni tra il tedesco Merz e l’italiana Meloni ci dice più di mille discorsi su fascismo e antifascismo.
E’ vero, in Germania la Cdu governa con i socialdemocratici, mentre in Italia la coalizione di centrodestra include anche la Lega salviniana, ma questo ha molto più a che fare con i diversi sistemi elettorali che non con gli orientamenti politici di fondo. Ed il voto delle regionali, quello in Toscana ancor più degli altri, ha confermato l’assoluto predominio nel centrodestra della componente conservatrice rispetto a quella “populista” e/o “radicale”.
Dopo le prevedibili conferme, passiamo adesso all’unico elemento di novità emerso dalle elezioni di domenica scorsa: il risultato di Toscana Rossa. Ai blocchi di partenza Toscana Rossa si presentava come una delle tante sfortunate riedizioni dei cartelli elettorali di un’estrema sinistra assai a corto di idee come di risultati. Al traguardo delle urne è emerso invece un risultato ben diverso, dunque da analizzare.
Attenzione! Per questa area politica, la Toscana è solitamente più favorevole del resto del Paese. Ma il 5,18% ottenuto dalla candidata presidente Antonella Bundu è certamente un successo che va ben al di là delle più rosee aspettative. A causa di una legge elettorale assurda quanto ingiusta il 4,51% raggiunto dalla lista non assegna però seggi, a differenza del 4,34% di M5s che ne porta 2 e del 4,38% della Lega che ne attribuisce 1! Ma il successo resta, anche perché interrompe una serie negativa dell’estrema sinistra che data ormai dal lontano 2008, cioè dal tonfo del Pavone Bertinotti alle politiche di quell’anno.
Questo risultato è certamente il frutto della combinazione di due fattori: (1) essere l’unica lista al di fuori delle due coalizioni sistemiche; (2) essere la lista che meglio poteva raccogliere sul piano elettorale la potente spinta di piazza e di opinione a sostegno di Gaza e della Palestina.
Come Fronte del Dissenso abbiamo espresso già a settembre un’indicazione elettorale a favore di Toscana Rossa “come unica possibilità di esprimere un voto contro le politiche neoliberiste, contro la guerra ed il riarmo europeo, contro la Nato e per il sostegno alla lotta del popolo palestinese”. Il nostro è stato un sostegno critico, ma convinto. Un modo per dare un segnale di resistenza anti-sistema, pur mantenendo ferme le nostre critiche alle forze che hanno dato vita alla lista di Toscana Rossa (Rifondazione e Potere al Popolo).
Vedremo adesso se quell’area politica saprà trarre i giusti motivi di riflessione da questo risultato in controtendenza. Un risultato da non sopravvalutare, ma nemmeno da sottovalutare.
Da non sopravvalutare perché in Toscana le liste di sinistra non alleate con il Pd hanno avuto una certa consistenza anche nell’ultimo decennio. Ad esempio, alle regionali del 2015 la lista “Sinistra” (candidato presidente Tommaso Fattori) ottenne il 6,28% e due seggi. Ed ancora nel 2020 la somma delle 3 liste “Sinistra” (sempre con Fattori), Pc e Pci arrivò ad un totale del 4,88%. Diverso, invece, il discorso alle politiche, con risultati costantemente più bassi, fino al 2,24% di Unione popolare nel 2022.
Tuttavia, l’inatteso risultato di Toscana Rossa non è da sottovalutare, soprattutto perché ottenuto nel contesto di un neo-bipolarismo ricostituitosi con l’inglobamento dei Cinque Stelle. Si tratta dunque di un 5% assai articolato, frutto di diversi apporti che vanno ben oltre la nicchia sempre più ristretta delle forze che hanno promosso la lista. Detto in altre parole, si è trattato in larga misura di un voto di opinione. Certamente un voto contro la guerra e per la Palestina, ma anche un voto senza tentennamenti contro il regime bipolare.
Come tutti i voti di opinione, esso potrebbe rifluire alla svelta. Come invece potrebbe essere il volano per veder nascere qualcosa di nuovo. Che le cose prendano l’una o l’altra piega dipenderà da diversi fattori. Affinché qualcosa di nuovo possa iniziare a prendere forma in quell’area politica due passi saranno però imprescindibili. Il primo consiste nell’abbandono del settarismo e della cultura woke di alcune sue componenti, Pap in primis. Il secondo in un no secco e non negoziabile al regime bipolare, un no capace di resistere alle sirene di quella “unità antifascista” che torneranno a cantare sempre più forte con l’avvicinarsi delle elezioni politiche del 2027.
Che queste mutazioni di fondo possano avvenire è lecito dubitarne. Anzi, l’esperienza dell’ultimo quarto di secolo ci porterebbe addirittura ad escludere questa possibilità. Ma non mettiamo limiti alla Provvidenza, anche se non più tardi di qualche settimana fa il solito film della subalternità verso il centrosinistra è andato in onda (da parte del Prc) sia nelle Marche che in Calabria, peraltro con risultati che non abbisognano di commento alcuno.
In ogni caso le elezioni toscane una cosa l’hanno detta chiara. Fuori dal recinto bipolare lo spazio per un’alternativa c’è. Affinché essa possa davvero germogliare c’è però bisogno di ben altro, ma intanto siamo contenti che questa conferma ci sia stata. Segno forse di un cambiamento più generale, come quello manifestatosi nelle immense piazze per la Palestina.