PALESTINA: LA LOTTA CONTINUA di FRONTE del DISSENSO

La tregua in atto da qualche giorno a Gaza dà quantomeno respiro ad una popolazione martoriata. E’ alla sofferenza, e all’incredibile capacità di resistenza del popolo palestinese, che va il nostro primo pensiero. E’ grazie a questa resistenza che lo sterminio genocida di Israele è stato almeno provvisoriamente fermato. A questo popolo ed alle sue organizzazioni va la nostra piena solidarietà.

La tregua non è la pace. Non lo è non solo perché essa è precaria, non solo perché Israele viola da sempre ogni accordo (come vediamo in questi giorni in Libano), ma soprattutto perché essa è figlia di uno stallo militare, non di una svolta politica che riconosca finalmente i diritti del popolo palestinese.

La tregua è il frutto di un compromesso aperto a diversi possibili sviluppi. Un compromesso che, per ora, ha portato alla cessazione dei combattimenti ed allo scambio dei prigionieri. Su tutto il resto il disaccordo permane. Hamas e le altre forze della Resistenza palestinese, che hanno agito in grande accordo tra loro, hanno accettato la tregua, non certo il pretenzioso piano neocolonialista di Trump.

Quel piano rappresenta la prosecuzione della politica dell’imperialismo americano in Medio Oriente. L’Occidente continua, infatti, a considerare l’entità sionista come il proprio decisivo avamposto in quella regione. Sta di fatto che Israele non avrebbe potuto reggere due anni di guerra – attaccando oltre che a Gaza e in Cisgiordania, il Libano, l’Iran, la Siria, l’Iraq, lo Yemen ed il Qatar – senza le armi e la complicità statunitense ed europea. Complicità che nel caso dell’Iran e dello Yemen si è manifestata come partecipazione diretta all’aggressione a quei due paesi. 

Tuttavia, neppure quella montagna di armi è bastata al governo israeliano per raggiungere i suoi obiettivi. Mentre non vi sarà la temuta deportazione da Gaza, Hamas non è stata sconfitta, e Netanyahu ha dovuto rinunciare all’attacco finale a Gaza City, vista soprattutto la decisa riluttanza dell’Idf ad affrontare quella battaglia.

Al tempo stesso Israele ha gettato la maschera di fronte al mondo intero: la sua immagine è quella di uno stato genocida, la sua reputazione quella di un’entità criminale animata da un’ideologia (il sionismo) colonialista, suprematista e razzista. Anche se i suoi amici faranno a gara per riverniciarne l’aspetto, sarà impossibile tornare a spacciare le falsità con le quali si sono sempre coperti i suoi misfatti fin dal 1948.

Certo, grazie alle immani distruzioni causate dai propri attacchi, adesso l’entità sionista, che continua a perseguire il progetto espansionista della “Grande Israele” a partire dalla pulizia etnica in Cisgiordania, proverà a raggiungere i propri obiettivi a Gaza con l’applicazione del “piano Trump”. Che questo tentativo insidioso possa essere respinto dipende da tante cose: dall’unità delle forze della Resistenza, dalla loro capacità politica, ma anche dalla prosecuzione del sostegno alla causa palestinese che si è ormai diffuso in tutti i continenti.

Mentre la becera Meloni, che ha dichiarato che “la pace si costruisce lavorando non sventolando bandiere”, dovrebbe intanto rendere conto del proprio sporco lavoro a copertura del genocidio sionista; noi affermiamo che le grandi mobilitazioni dell’ultimo mese, che hanno portato ad un isolamento internazionale di Israele senza precedenti, hanno contribuito anch’esse allo stop imposto alla macchina da guerra di Netanyahu.

Si aprono adesso enormi problemi, soprattutto per le forze della Resistenza. Il “piano Trump” ha lo scopo che da sempre i sionisti perseguono: cancellare la questione palestinese con la divisione, la corruzione e la criminalizzazione di una resistenza dipinta come “terrorismo”. Su quest’ultimo trucco semantico, tanto in voga in occidente, occorre fare definitivamente chiarezza. La resistenza di un popolo oppresso (ce lo ricorda perfino una risoluzione dell’Onu) non è solo legittima, essa è giusta, sacrosanta e necessaria.

Se lo scopo principale dell’azione del 7 ottobre è stato quello di evitare l’oblio, di porre la questione palestinese al centro dell’attenzione internazionale, come fermare adesso un piano che cerca di riportare indietro di due anni le lancette dell’orologio? E’ questa la sfida del prossimo futuro. Il blocco imperial-sionista vorrebbe affidare l’amministrazione di Gaza al criminale di guerra Tony Blair, dando in mano la ricostruzione ad una cupola mafiosa, disarmando al contempo Hamas. Tre obiettivi da respingere con forza.

Ma non basta: per colpire la Resistenza i sionisti hanno armato alcuni clan criminali, affinché operino a Gaza per portare il massimo scompiglio tra i palestinesi. E’ contro queste bande prezzolate che Hamas sta già operando con i propri uomini per mantenere l’ordine in questa delicatissima fase.

Proprio perché siamo convinti sostenitori della causa e della Resistenza palestinese, non ci nascondiamo le difficoltà del momento. Purtroppo, all’eroica tenuta di Gaza ha fatto da contrappeso l’indiscutibile indebolimento del cosiddetto “asse della resistenza” sul piano regionale. Un esito dovuto soprattutto ad un quadro internazionale sfavorevole, nel quale mentre l’”Occidente collettivo” a livello di governi è rimasto sostanzialmente compatto a sostegno di Israele, dall’altra il blocco dei Brics è stato ben lungi dall’avere un vero ruolo politico.

Di fronte a questo nuovo quadro, chiari sono i compiti del grande movimento di solidarietà con la Palestina a livello internazionale, e soprattutto in Italia.

In primo luogo, si tratterà di lavorare affinché il movimento non si fermi, sviluppando iniziative politiche e di solidarietà umanitaria.

In secondo luogo, vanno tenuti fermi alcuni obiettivi politici, continuando la battaglia per il riconoscimento della Palestina e per la cessazione di ogni rapporto con Israele.

In terzo luogo, mentre riaffermiamo che i responsabili del genocidio, a partire da Netanyahu, dovranno essere condannati come criminali di guerra, occorre sviluppare l’iniziativa per consolidare ed accrescere l’isolamento internazionale di Israele.

In quarto luogo, ci proponiamo di organizzare sempre più (facendolo unitariamente con tutte le forze disponibili) momenti di incontro e discussione sulla situazione in Medio Oriente, contro il riarmo e per fermare la Terza Guerra Mondiale.

Un importante momento di incontro e di approfondimento è rappresentato intanto dal convegno internazionale sul sionismo che si terrà a Roma sabato 25 ottobre.

Fronte del Dissenso – 15 ottobre 2025

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