REFERENDUM: IN RISPOSTA ALLE CRITICHE
Sui prossimi referendum, il FRONTE del DISSENSO ha espresso una posizione piuttosto articolata. Da una parte abbiamo motivato le nostre indicazioni di voto sui singoli quesiti, dall’altra abbiamo criticato duramente l’assoluta incoerenza dei promotori ed un uso sbagliato e strumentale dello strumento referendario.
Il nostro comunicato si apre proprio con la denuncia del «cinismo politico di chi ha voluto questi referendum, già sapendo che il quorum del 50%+1 dei voti non sarà raggiunto, già sapendo che causerà un pericoloso effetto boomerang e che tutto resterà come prima».
Ciò nonostante, non sono mancate le critiche alla nostra presa di posizione. Critiche spesso poco argomentate, ma alle quali riteniamo comunque doveroso rispondere.
Scrive, ad esempio, Patrizia P.: «Io non voto questa ennesima porcheria del Pd!».
Qui siamo proprio all’abc della politica. In un referendum (ma la stessa cosa varrebbe per un voto in parlamento) si vota innanzitutto nel merito delle questioni. Certo che si deve sempre considerare la natura e il disegno di chi propone una determinata cosa, ma alla fine ciò che conta è il contenuto effettivo dei quesiti. Noi quel che pensiamo dei promotori l’abbiamo detto con nettezza, dopo di che si vota su diritti fondamentali dei lavoratori. E su questo non possiamo restare indifferenti. Visto che si opposero al Jobs Act renziano, se Lega e Fratelli d’Italia fossero coerenti, almeno su quei quesiti dovrebbero votare sì. Perché a questi due partiti al governo nulla si dice?
Diverso l’argomento di Laurezia D.: «Anche i referendum sono uno strumento per prendere per il culo i cittadini. Se vogliono modificare una norma possono farlo, esiste il Parlamento. Da quando in qua ai maiali di Roma frega il parere del popolo?».
Noi non abbiamo certo il mito dei referendum, e ci pare di averlo spiegato. Tuttavia, a determinate condizioni, il referendum può essere uno strumento utile specie per chi si trova all’opposizione. Il problema è che un certo uso che ne è stato fatto, soprattutto da parte dei banditi ultraliberisti del Partito radicale, ha finito per screditare l’arma referendaria. Ma perché gettare del tutto questo strumento? Curioso poi che ci venga detto che deve fare tutto il parlamento, scritto da chi conclude il suo commento parlandoci dei “maiali di Roma”. Va bene la critica, ma chi la esercita dovrebbe magari mettersi d’accordo con sé stesso.
Scrive l’amico Fabrizio C.: «Cazzo ci voleva una grande campagna di astensionismo rispetto a questa porcata dei referendum cigiellini. A maggior ragione dopo che la manifestazione del 7 giugno convocata dai sionisti liberal (PD, AVS, 5 stalle) per Gaza è un atto di autentico sciacallaggio per tirare la volata al referendum».
Una grande campagna di astensionismo? Beh, ci pare che ci abbia già pensato la destra al governo. E per ottenere che cosa, poi? Per raggiungere una partecipazione al voto ancora più bassa, in modo da far cantare vittoria non solo al governo, ma pure alla Confindustria e a Renzi? In quanto alla manifestazione piddina del 7 giugno, essa è stata concepita non per “tirare la volata al referendum”, bensì per far parlare d’altro rispetto all’annunciata sconfitta nelle urne. Sia chiaro, noi non diciamo che ai referendum si debba sempre votare. Talvolta anche l’astensionismo può essere la scelta giusta. Nel 2022, ad esempio, in occasione dei truffaldini referendum sulla giustizia, la nostra scelta fu proprio quella. Ma lì si trattava di pronunciarsi su quesiti molto tecnici, molto discutibili, molto interni alle lotte di potere dentro al sistema. Qui, al di là dell’esisto scontato, si tratta invece di questioni rilevanti ed attinenti le condizioni di sfruttamento di milioni di lavoratori. Difficile non vedere la differenza.
Alcuni infine ci criticano perché (anche noi) saremmo favorevoli alla “cittadinanza facile”, come dire che sarebbe giusto proprio quel che avviene oggi, ovvero la “cittadinanza difficile”.
Molti di coloro che vogliono rendere “difficile” ottenere il diritto di cittadinanza, non nascondono i loro pregiudizi razzisti e xenofobi, questi confondono il concetto di cittadinanza con quello di nazionalità, per cui solo i “veri” italiani sarebbero da considerare cittadini. Alcuni, peggio ancora, immaginano che il diritto politico di cittadinanza debba essere basato sul sangue.
Molti altri non sono razzisti, ma confondono la cosiddetta “cittadinanza facile” col rendere più “facile” l’immigrazione. Si tratta invece di due piani molto diversi. Uno Stato può essere molto severo nel contrastare e punire ogni forma di immigrazione irregolare, ed essere invece flessibile e tollerante nel concedere la cittadinanza ad immigrati regolari già residenti.
Posto che nella stragrande maggioranza delle nazioni del mondo la cittadinanza viene concessa dopo cinque anni di residenza, l’auspicato passaggio da dieci a cinque anni non significa diventare di “manica larga”, poiché resterebbero intonse tutte le già attuali severe condizioni per ottenere la cittadinanza e godere quindi pienamente dei diritti civili e politici — grande è infatti la differenza tra avere un permesso di soggiorno e diventare cittadino italiano.
Condivido pienamente la valutazione in merito a prossimi referendum.
Ciao.
Enzo