MUKAWAMA di Suad Zatari*

* Testo dell’intervento pronunciato in occasione della manifestazione “No al Riarmo Europeo! Stop al Genocidio in Palestina” svoltasi a Perugia sabato 17 maggio 2025, promossa da UMBRIA DELLA PACE. Suad è una italo-palestinese che vive in Umbria.

Sono sicura che quello che provo sia una sensazione condivisa da tante brave persone, in tutto il mondo.

Quello che sta succedendo in Palestina fa schifo. Fa schifo su più livelli. A partire dal nostro governo, o meglio dal nostro sistema che si dice democratico ma ci ha reso impotenti e tenta di annullare sempre di più le nostre voci, le nostre aspirazioni, le proteste a difesa del nostro diritto a vivere in maniera dignitosa, e lo fa attraverso decreti legge come il 1660, che puntano a considerare un crimine la contestazione, un criminale chi la porta avanti, a prescindere dalle ragioni.

Intanto siamo al terzo posto nel rifornimento di armi a “israele”: “noi” con le bombe sganciate sulle case, sulle tende, sulle teste, dei palestinesi, ci guadagnamo, e tanto basta.

Abbiamo le mani sporche di sangue che non si lava via.

Sono passati 588 giorni dal genocidio conclamato di Gaza e 77 anni da quello che, ben prima del 7 ottobre, è stato definito da insigni studiosi un “genocidio incrementale”, che riguarda TUTTA la Palestina occupata.

IL 13 maggio scorso hanno ucciso l’ennesimo giornalista palestinese. Secondo alcune fonti è il 219esimo ammazzato. I giornalisti palestinesi di GAZA SONO UN TARGET MOLTO AMBITO DA ISRAELE, INSIEME AI BAMBINI E ALLE DONNE, ma in particolare i giornalisti sono una sorta di archivio di prove dei crimini israeliani, oltre che testimoni viventi delle torture e delle stragi.

Ma le notizie di questi giornalisti, come Hassan Aslih, uccisi mentre sono ricoverati in un letto d’ospedale, uccisi insieme ad altre 10, 20, 30 persone, dai proiettili sionisti, altamente tecnologici, che distruggono pure l’ospedale stesso, non raggiungono i nostri media, né le nostre coscienze.

Sono 588 giorni che vediamo esseri umani raccogliere arti esplosi dei propri cari e riunirli in sacchetti di plastica, che vediamo persone gravemente ferite essere trasportate in carretti trainati da un asino fino all’ospedale semidistrutto più prossimo.

Vediamo tonnellate e tonnellate di macerie accatastate su altre migliaia di esseri umani, che però non vediamo, che non possono essere tratti in salvo né essere contati per avere un’idea di CHI e di quante persone sono state realmente uccise. Ma non siamo qui a fare i conti. I numeri, che comunque sono impressionanti, perché alle morti per colpi d’arma da fuoco sparate dai cecchini israeliani si aggiungono le morti più lente, ma ugualmente scientificamente progettate, per fame, per stenti, per assenza di cura, per disperazione e dolore, e le morti dell’anima della gente che sopravvive senza nessuna prospettiva né speranza… I numeri, dicevo, ci interessano fino ad un certo punto, perché come affermava un illustre giovane poeta, professore, luminare di Gaza : “non siamo numeri”.

Era Refaat Alareer, ucciso dall’”esercito più morale al mondo”, insieme a molti altri membri della sua famiglia senza che qui se ne sia data notizia. Ucciso perché il suo amore per la terra cui apparteneva, e appartiene, aveva contagiato un’intera generazione a Gaza. Vivere nella Palestina occupata, a Gaza, significa nascere, vivere e morire sotto un regime coloniale, ma questa definizione (coloniale) non rende la cruda e crudele realtà che sono costretti a esperire i palestinesi. Refaat Alareer insegnava ai sui giovani allievi a trasformare in scrittura il trauma di esistere in questa — condizione palestinese—: ogni respiro, ogni pensiero, ogni parola, ogni azione è influenzata dal contesto d’occupazione coloniale imposto da “israele”, e con questa consapevolezza le produzioni dei suoi studenti diventavano documenti, testimonianze, che potessero, possono, essere divulgate anche oltre i confini della strisciolina di terra martoriata che è Gaza (40×10 Km) raggiungendo le coscienze di tutti. Per questo Refaat è stato ucciso, anche questo è terrorismo secondo lo “stato” ebraico, che stato non è, non avendo confini definiti.

Terrorismo, incitamento all’odio e antisemitismo è smascherare l’ipocrisia dell’entità coloniale sionista che è genocida nella sua essenza.

Hanno osato chiamare il 7/10 il più grande Pogrom contro gli ebrei dai tempi dell’olocausto, quando la verità, sempre ben nascosta dai media, è che la gran parte delle vittime le hanno fatte gli stessi ebrei israeliani, obbedendo alla “Direttiva Hannibal” — ma non ne sentiremo parlare nei tg, dove gli stessi giornalisti che conducono non ne faranno cenno, anche se nel privato dei loro social sembra si straccino le vesti per i poveri palestinesi che sono bravi solo quando muoiono, MAI quando rivendicano resistendo e combattendo la propria dignità di esseri umani, MAI. Ma tornando allo pseudo-pogrom, secondo i nostri canali d’informazione più quotati (ricordo che l’Italia è al 49esimo posto nella classifica mondiale per la libertà di stampa) sarebbe stato perpetrato così, furori da ogni contesto sociale, politico, storico, solo perché i “barbari musulmani” odiano visceralmente le “vittime per antonomasia” per citare la definizione che ha dato degli EBREI  la senatrice a vita Liliana Segre, senatrice lautamente stipendiata a vita da noi cittadini italiani.

Suad Zatari

Bisognerebbe anche chiedersi COME MAI le comunità ebraiche e le istituzioni ebraiche nel 99,9 % dei casi propugnano questa narrazione, continuando a diffondere tutte le fake già smentite dalle indagini, persino degli stessi israeliani, come quelle degli stupri di massa, delle decapitazioni dei bambini, dei neonati nei forni ecc… tutti crimini compiuti sistematicamente o occasionalmente, come nel caso dei forni, stavolta sì con prove e testimonianze appurate, dagli israeliani con la kippah, sui palestinesi IN QUANTO TALI.

Chiediamoci perché secondo queste entità per essere riconosciuto come ebreo la “conditio sine qua non” è quella di sostenere finanziariamente, politicamente, esistenzialmente “israele”, colonia sionista in Palestina? E perché le affermazioni degli esponenti politici israeliani sono impregnate della retorica biblica che evoca la lotta degli ebrei contro gli amalechiti —i non ebrei da sterminare, a partire dai bambini?

Utilizzare l’antisemitismo come una clava per tacitare e criminalizzare le denunce nei confronti di questa retorica genocidaria e le denunce contro le pratiche dei massacri immondi, come quello di ieri in cui in 48 ore sono state eradicate dalla vita 300 persone a Gaza, questo non fa onore a nessun ebreo stretto nel giro di vite sionista, se non si ribella a questa condizione immorale.

Per inciso quando parliamo di semiti parliamo di popoli provenienti da determinate aree geografiche dell’Asia occidentale che condividevano alcuni specifici gruppi linguistici ed oggi ad essere considerati semiti sono gli arabi, non certo i coloni est- europei che hanno resuscitato l’ebraico nel 1948, dopo 20 secoli che era morto, solo per fingersi tali, nell’intento di costruirsi un’identità che non hanno mai avuto e progettare a tavolino un popolo inesistente. Non sono certamente semiti i coloni est-europei che si cambiano il nome perché abbia un suono più indigeno di Milekowsky , di Mabovich, di Rubizov, di Broke, che sono rispettivamente i veri nomi di Netanyahu, Golda Meir, Rabin, Barak, cosa che hanno fatto letteralmente tutti i primi ministri israeliani.

Mentre in Palestina questi maniaci, che davvero sembra non abbiano più niente di umano, proseguono indisturbati, con questi presupposti, ignorando bellamente e impunemente i timidi moniti della corte internazionale di giustizia, qui nel cosiddetto mondo libero dell’Occidente e nel nostro “giardino ordinato” d’Europa, chi si espone per la Palestina viene picchiato alle manifestazioni (non accade mai ai raduni fascisti) identificato, detenuto, arrestato, com’è successo a diversi attivisti e giornalisti davvero degni di questo nome, trattati come criminali secondo quelle chiamano “leggi antiterrorismo” dalle forze dell’ordine costituito, ma può succedere anche che vieni prima minacciato e poi aggredito, in un tentato omicidio, com’è accaduto a Rubio, noto attivista ed esperto di Palestina, che è stato massacrato il 15 Maggio dell’anno scorso, di ritorno da un evento per preservare la memoria della Nakba, termine che significa letteralmente “Catastrofe”.

Catastrofe progettata a tavolino col fine di imporre nel 1948 uno stato* ebraico in Palestina.

La Nakba è stato, è , lo sfollamento forzato, la deportazione, le stragi di migliaia di palestinesi, la distruzione di centinaia di villaggi. La Nakba è quella che ancora oggi vediamo scorrere sugli schermi dei nostri cellulari, perché è ancora in corso.

Rubio è stato massacrato, davanti al cancello di casa sua, da un gruppo di forse una decina di squadristi sionisti che non verranno mai identificati dalla Digos perché i mandanti morali sono da ricondursi alle alte sfere delle comunità ebraico-sioniste italiane.

Sempre qui in Italia e precisamente a Terni, recluso in prigione c’è un giovane palestinese di Tulkarem di nome Anan Yaeesh, incarcerato da noi per procura di “israele”, che ci ha detto di farlo, e noi, da bravi servi abulici, abbiamo eseguito i comandi di un’entità illegittima e illegale che rapisce e uccide senza pietà su base suprematista. Anan Yaeesh si trova quindi in una prigione di massima sicurezza qui nel nostro paese, dove non ha mai commesso nessun crimine, perché in Cisgiordania , vivendo nel regime di occupazione sionista del tutto simile a quello nazifascista, forse anche peggiore ma questo ce lo dirà la Storia, ha sostenuto la resistenza palestinese mentre i coloni uccidevano i suoi amici, la sua fidanzata, i suoi familiari e gli piantavano svariate pallottole nel corpo.

Se non ricordo male la nostra Costituzione è stata scritta grazie ai partigiani, e dai partigiani che hanno lottato a loro tempo dalla parte giusta della storia. E se questo non bastasse, la Convenzione di Ginevra, e i suoi protocolli, stabilisce la legittimità della lotta armata in condizioni di Resistenza. Ma noi siamo il paese in cui esistono obbrobri come la “Sinistra per israele” che usa la dissonanza cognitiva (di gente che crede ancora nella missione civilizzatrice dell’occidente per la sua presunta superiorità morale e la tanto incensata libertà) come stendardo.

Non siamo liberi come crediamo se non possiamo manifestare davanti alle ambasciate come quella israeliana, e alle sedi delle istituzioni responsabili delle decisioni che influenzano direttamente la nostra vita e, come nel caso dei palestinesi, la loro morte, per mano nostra.

Concludo con la citazione di Nelson Mandela, esortando tutti, in ogni ambito a parlare della Palestina, nelle scuole, vergognosamente indifferenti, nelle Università, con i professori, al lavoro, coi nostri vicini, amici e familiari e vi esorto tutti a mettere una bandiera della Palestina su ogni balcone e dipingerla su ogni muro perché “La nostra libertà è incompleta senza quella del popolo palestinese.”

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