Con il cessate il fuoco entrato in vigore il 19 gennaio si è posto fine ad un genocidio durato 15 mesi.
In cambio della consegna dei prigionieri israeliani catturati il 7 ottobre, la Resistenza ha ottenuto la scarcerazione di centinaia di detenuti palestinesi, la fine dell’assedio e dei bombardamenti, il ritiro delle truppe israeliane da Gaza (anche dai corridoi strategici di Netzarim e Philadelphia), il ritorno degli sfollati al Nord e all’Ovest della Striscia, la riapertura del valico di Rafah per il passaggio degli aiuti e l’avvio della ricostruzione, anzitutto degli ospedali, il rispetto dei confini precedenti al 7 ottobre 2023,.
Nessuno si faccia illusioni che questa fragile tregua significhi la pace. La Battaglia di Gaza è solo una tappa di una guerra prolungata che coinvolge il Vicino Oriente. Essa rappresenta però una importante per quanto momentanea vittoria per la tenace Resistenza palestinese, di converso una severa sconfitta politico-militare per Israele. Col pretesto di vendicarsi per l’umiliazione del 7 ottobre il governo sionista era infatti deciso ad ottenere tre obbiettivi: l’annientamento di HAMAS e Jihad Islamica, la deportazione dei gazawi, rioccupare e colonizzare la Striscia. Nessuno di questi obbiettivi è stato raggiunto.
Una vittoria ancora più significativa se si tiene conto del decisivo sostegno assicurato ad Israele dall’Occidente Collettivo. Per questo è lecito parlare di sconfitta collettiva dei governi occidentali, le cui élite politiche hanno dovuto fare i conti con forti mobilitazioni di solidarietà con la Resistenza palestinese e un’opinione pubblica largamente ostile al sostegno ad Israele.
I mezzi di comunicazione occidentali tentano di sminuire la portata della vittoria della Resistenza ingigantendo il ruolo che avrebbero avuto gli Stati Uniti. E’ vero che la pressione americana su Netanyahu si è fatta più forte nelle ultime settimane ma ciò, come ha affermato lo stesso Blinken, è dipeso dalla presa d’atto che debellare la Resistenza si è rivelato obbiettivo del tutto irraggiungibile, visto che più passavano i mesi più l’esercito israeliano subiva pesanti perdite a causa dei micidiali attacchi di una Resistenza che era stata capace, malgrado i colpi subiti, di riorganizzarsi.
Esce quindi fortemente indebolito il principale mito del sionismo, quello dell’invincibilità del suo esercito e dell’impenetrabilità del suo scudo difensivo (violato a più riprese sia dagli attacchi venuti dal Libano, dallo Yemen e dall’Iran).
La Battaglia di Gaza sta producendo numerosi e destabilizzanti effetti sull’entità sionista. Il mostro è gravemente ferito, così ci spieghiamo la rabbiosa offensiva (attuata con l’appoggio dell’A.N.P.) a Jenin, l’inasprimento dell’occupazione militare in tutta la Cisgiordania e la minaccia di una rappresaglia contro l’Iran. C’è un prima e un dopo il 7 ottobre, anche in Israele nulla sarà più come prima.
Il prezzo pagato dal popolo gazawi per questa vittoria della Resistenza è stato altissimo. Un numero spropositato di morti sotto le bombe israeliane, decine di migliaia tra feriti e mutilati, la distruzione di gran parte della Striscia. C’è chi, nell’ignobile tentativo di giustificare la genocidiaria reazione israeliana, fa ricadere la colpa di questa carneficina sulle spalle di chi ha organizzato l’azione del 7 ottobre. Moralmente ogni violenza è deplorevole, politicamente essa è tuttavia un mezzo a cui gli oppressi sono costretti a ricorrere per liberarsi dalle catene. Delle tante forme di violenza che il popolo di Palestina stava subendo la più infame era l’oblio sulla propria sorte. 7 ottobre: bisognava porre l’umanità davanti allo specchio affinché si facesse orrore.