Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Quando la mattina del primo luglio una ventina di agenti in assetto antisommossa hanno circondato la parrocchia di Vicofaro (Pistoia) per allontanare gli ultimi tre ospiti rimasti, si è consumata una pagina dolorosa della nostra storia recente. Un’operazione che ha rivelato tutta la sua natura simbolica e punitiva: colpire chi ha osato praticare concretamente il Vangelo dell’accoglienza.
Lo sgombero non è stato un atto di giustizia, ma di violenza istituzionale. È stata un’operazione dalla violenza e dai costi spropositati contro persone che avrebbero avuto bisogno di psicologi ed operatori più che militari, ma sappiamo che questi percorsi sono lunghi e difficili, spesso complessi, sicuramente poco appetibili a politiche di visibilità social come quelle che caratterizzano gran parte della nostra classe politica, molto più interessata ad ostentare la forza che a dimostrare una capacità di analisi e valutazione delle scelte politiche sul lungo periodo.
Per quasi un decennio, don Massimo Biancalani ha incarnato quello che significa essere pastore nel senso più profondo del termine. Ha trasformato la sua chiesa in un rifugio per chi non aveva altro posto dove andare, realizzando quella visione di “ospedale da campo” che Papa Francesco ha indicato come modello per la Chiesa del terzo millennio. L’esperienza di Vicofaro rappresenta molto più di un semplice centro di accoglienza. È stata la dimostrazione vivente che è possibile mettere al centro la persona umana, restituire dignità a chi era considerato invisibile, creare legami di solidarietà che superano ogni barriera sociale, culturale e religiosa.
Don Biancalani ha saputo vedere in ogni persona accolta non un numero o un problema da gestire, ma un volto, una storia, una speranza. Ha offerto non solo un tetto e un pasto, ma ha costruito una comunità dove credenti e non credenti si sono ritrovati uniti nell’impegno per la giustizia sociale.
Ciò che colpisce maggiormente è la tempistica e le modalità di questa operazione. Mentre per anni don Biancalani ha invano sollecitato le istituzioni per ottenere supporto e risorse, improvvisamente si sono materializzate soluzioni alternative proprio quando serviva giustificare l’intervento repressivo.
Il fatto che la Diocesi abbia trovato in poche settimane strutture che sembravano non esistere per tutti questi anni solleva interrogativi che meritano una risposta che attendiamo con ansia.
Viene da chiedersi se non ci sia stato un preciso disegno politico dietro questa operazione, finalizzato a eliminare una voce scomoda in vista di importanti appuntamenti elettorali: siamo infatti solo a tre mesi dalle elezioni regionali, che probabilmente vedranno il Sindaco di Pistoia, Alessandro Tommasi, come candidato per la coalizione di centro destra, è arrivata la risposta tanto attesa: venti agenti in tenuta antisommossa per rimuovere quello che il potere considera scarti della società.
L’opera di don Biancalani va oltre la semplice assistenza sociale. È stata una risposta profetica a una società che ha smarrito il senso della fraternità universale. Ha mostrato che è possibile costruire alternative concrete al modello dominante basato sulla paura e sul rifiuto dell’altro.
In un contesto in cui il migrante viene spesso ridotto a categoria sociologica o a emergenza securitaria, Vicofaro ha restituito a ciascuno la propria umanità. Ha dimostrato che l’incontro con l’altro può essere fonte di arricchimento reciproco, di crescita umana e spirituale.
Il vero “crimine” di don Biancalani è stato quello di aver anteposto l’esigenza umana alla regola burocratica, di aver scelto la giustizia sociale rispetto alle logiche securitarie. In un sistema che ha fatto della disumanizzazione la sua cifra distintiva, Vicofaro rappresentava un’alternativa troppo pericolosa per essere tollerata.
Don Massimo Biancalani ha mostrato che un’altra Chiesa è possibile: una Chiesa che non ha paura di sporcarsi le mani, che sceglie la strada della testimonianza concreta piuttosto che quella delle dichiarazioni di principio. Ha dimostrato che un’altra società è possibile: una società fondata sulla solidarietà invece che sulla competizione, sull’inclusione invece che sull’esclusione.
L’esperienza di Vicofaro ci ricorda che l’accoglienza non è solo un dovere morale, ma una necessità per la costruzione di una società più giusta e umana. E che quando le istituzioni voltano le spalle ai più deboli, tocca alla società civile mantenere viva la fiamma della solidarietà.
Il suo “ospedale da campo” è stato chiuso, ma l’esempio rimane. E con esso la responsabilità di ciascuno di noi di continuare a credere che un mondo diverso è possibile, e di lavorare per costruirlo.
Complimenti di cuore Marco !! Hai tracciato con profonda lucidita’ il bellissimo e difficilissimo lavoro fatto da Don Massimo Biancalani nell’applicare alla lettera il Vangelo per dieci lunghi anni. Quella e’ la mía Chiesa !! Viva ora e sempre Don Massimo !! Viva Vicofaro, che come diceva Papa Francesco era un porto sicuro per gli “scarti”della societa’, di questa marcia societa’ che ci sta spingendo a sfamarci con le pallottole….
grazie di avermi fatto conoscere questa vicenda.